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Il deserto bianco in Egitto: colori e panorami che evocano suggestioni

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Il deserto bianco in Egitto: colori e panorami che evocano suggestioni

di Francesca Spanò | @francynefertiti

Un colpo d’occhio, ma anche una importante testimonianza storica. Il [b]Deserto Bianco[/b], in Egitto, la cui bellezza ha varcato da decenni i confini locali, racconta il suo passato pure attraverso i famosi “funghi bianchi”, note formazioni calcaree onnipresenti in ogni catalogo di viaggio che si rispetti o su evocative pagine a tema di turismo, in rete. Ecco perché i safari tra le dune, nel Paese, sono sempre più richiesti, nonostante la meraviglie archeologiche locali lascino ben poco spazio ad escursioni di tipo prevalentemente paesaggistico.

Del resto, l’immagine che viene rimandata al visitatore è sempre diversa perché si sa che il deserto cambia, con il vento e gli agenti atmosferici. Un mistero affascinante, reso ancora più incredibile appunto dal colore chiaro in perfetto contrasto con il cielo. Il sole, poi, trasforma le tonalità in rosa e arancio, mentre la notte, scura, rende tutto simile ad un panorama artico. Nella zona si può anche dormire, godendo di splendidi cieli stellati, all’interno di [b]tende arredate in stile beduino[/b]. All’alba e al tramonto si sorseggia il tè tra comodi cuscini, prima di uscire per una escursione.

Al [b]Deserto Bianco[/b] sono legate pure una serie di leggende. Si racconta di eserciti che le tempeste hanno sepolto, così come misteriosi cetacei e, ovviamente, città e oasi di cui nessuno ricorda altro che un passato folgorante e città che venerano il dio coccodrillo.

Quel che è certo, è che la vista gode di fronte ad una immagine di sabbia chiara e candida, dopo granelli color ocra e nere rocce vulcaniche, del resto ben più comuni. Si estende tra le oasi di Bahariya e Farafra, fino a lambire Siwa a nord e il territorio libico a ovest. Tra le dune compaiono spesso delle placche bianche che si sono formate al termine del ritiro di laghi e di paludi che, fino a 5mila anni fa, bagnavano questa regione.

Di sicuro ha sempre affascinato gli esploratori, come come Gerhard Rohlfs, salvato nel 1874 da due giorni di pioggia mentre cercava di raggiungere Siwa. Chi non ricorda, poi, il famoso paziente inglese cinematografico che venne da queste parti? Era il conte unghereseLászló Ede Almásy. Quasi un monumento che nessuna mano dell’uomo ha creato è insomma il [b]deserto bianco[/b], ma che racconta meraviglie da secoli.

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