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Morandi 1890 – 1964

Giorgio Morandi. Natura morta. 1953. Olio su tela. Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca. © Giorgio Morandi, by SIAE 2023

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Morandi 1890 – 1964

di Daniela di Monaco

La Mostra e Milano

Quattro anni di lavoro molto impegnativo per organizzare una delle più importanti e complete retrospettive sul pittore bolognese realizzate negli ultimi decenni, illuminata da prestiti di grande qualità, ottenuti da istituzioni importanti e da collezione private e che potrà essere visitata fino al 4 febbraio 2024 a Palazzo Reale a Milano.

Sono state raccolte 120 opere a rappresentare cinquanta anni di attività dell’artista.

Assai apprezzato all’estero, a New York al Metropolitan, come a Mosca al Pushkin e a Bilbao al Guggenheim, Morandi ritorna a distanza di trenta e più anni dall’ultima rassegna. È Milano a celebrarlo sottolineando il rapporto elettivo tra la città e il pittore bolognese.

Erano, infatti, lombardi o vivevano a Milano i primi grandi collezionisti di Morandi come Vitali, Feroldi, Scheiwiller, Valdameri, Boschi Di Stefano, Vismara e altri ancora, come milanese era la Galleria del Milione, con la quale il pittore intrattenne un rapporto privilegiato.

La curatela

La mostra è curata da Maria Cristina Bandera, storica dell’arte e studiosa specialista di Morandi, già curatrice di importanti mostre internazionali dell’artista, che ha voluto certe opere e solo quelle in mostra, scelte tra i prestiti raggiungibili, per esemplificare il percorso di Giorgio Morandi e consentire una rilettura dell’artista che, racconta la curatrice, è stato più compreso all’estero che in Italia dove i pregiudizi erano molto più forti.

L’evoluzione stilistica e il modus operandi

Morandi lavorava quasi come un pittore di antica bottega, è sempre Maria Cristina Bandera a parlare, in un atelier modesto, una grande finestra – è la stessa grande finestra che dava sul cortile e che avrebbe ispirato a Morandi il tema della pittura del cortile di via Fondazza – una ottima illuminazione della stanza che veniva modulata da tele e carte disposte sul telaio della finestra, e mezzi pittorici assai ricercati quali olii e colori. In questa stanza-studio di Via Fondazza l’artista lavorò fino ai suoi ultimi giorni.

Morandi dipingeva al pomeriggio quando c’era una certa luce, anche perché alla mattina insegnava tecnica dell’incisione all’Accademia di Belle Arti. In mostra c’è anche una importante, accurata selezione di incisioni, che fornisce una possibilità di approfondimento sull’artista stesso. Si parla per la prima volte di Morandi incisore nel 1934, un aspetto della sua arte sconosciuto a molti e per il quale ricevette nel 1953 un importante premio a San Paolo del Brasile. Le opere sono suddivise secondo i temi prescelti: – natura morta, paesaggio, fiori e solo raramente figure – e le tecniche utilizzate: pittura, acquaforte e acquerello.

Il percorso, le opere

La mostra, che parte dal 1913 per giungere al 1963, dai capolavori d’avanguardia alla pittura rarefatta,  si suddivide in 34 sezioni che documentano il primo contatto con le avanguardie, tra cézannismo, cubismo e futurismo (1913-1918), il personale accostamento alla metafisica (1918-1919), il ritorno al reale e alla tradizione (1919-1920), le sperimentazioni degli anni ’20 (1921-1929), l’incisione e la conquista della pittura tonale (1928-1929), la maturazione del linguaggio e la variazione dei temi negli anni ’30 (1932-1939), gli anni ’40 (1940-1949), gli anni ’50 (1950-1959), l’acquerello (1956-1963) e la tensione tra astrazione e realtà negli anni conclusivi (1960-1963) in cui l’artista esprime nelle opere l’essenza della realtà, la sostanza di una ricerca durata tutta una vita che, a parole, suonava così: “ritengo che non vi sia nulla di più surreale, nulla di più astratto del reale”.

L’intera esperienza di Morandi si muove tra questi due poli: un confronto precoce con le novità artistiche internazionali e con le avanguardie – e senza mai essere stato a Parigi, acquisisce il messaggio del primo cubismo di Picasso e Braque e la lezione di Cezanne – e la formulazione di un linguaggio capace ancora oggi di tradurre le inquietudini della modernità.

Pensieri e sentimenti

Era sua convinzione – dichiarava nel 1955 – che “le immagini e i sentimenti suscitati dal mondo visibile” siano “inesprimibili a parole”. Il compito dell’arte è quello di “far cadere quei diaframmi”, “quelle immagini convenzionali” che si frappongono tra l’artista e la realtà. Il suo universo simbolico costituito da oggetti tra i più comuni, scelti per la loro immutabilità – erano preparati da una sorta di “prima pittura” o con l’aggiunta di velature pittoriche – è pretesto per “far cadere” quel diaframma, e svelare ciò che della realtà è astratto. Anche i motivi dei suoi paesaggi, o “paesi”, come preferiva chiamarli, erano sempre desunti dalla realtà visibile: “lavoro costantemente dal vero” dice Morandi tra il 1929 e il 1930, seguendo una variazione di temi, e, a tal proposito, nel 1960, aggiunge “…. penso di essere riuscito a evitare il pericolo di ripetermi, dedicando più tempo a progettare ciascuno dei miei dipinti come una variazione sull’uno o l’altro di questi pochi temi”.

Studio e lavoro

Tra il 1913 e il 1914 Morandi si muove tra cubismo e futurismo e guarda a Cezanne e a Picasso. L’Autoritratto è il primo dei sette dipinti e solo di recente esibito al pubblico. Straordinarie le due opere: i Fiori (Mart di Rovereto) che indica una breve esperienza futurista e Paesaggio innevato di Grizzana che richiama Cezanne per la severità della composizione. Una rarità le sue Bagnanti, che ricordano le Baigneuses di Cezanne, un vero unicum nell’opera del pittore bolognese che, da quel momento in poi, non tratterà più la figura umana. Nello stesso tempo Morandi si confronta con giganti quali Giotto, Piero della Francesca, Rembrandt.

Prima di entrare nella stagione metafisica, Morandi si appropria di una visione della realtà antinaturalistica con una concezione spaziale unitaria secondo lo spirito cezanniano che riduce la natura secondo le forme geometriche di sfera, cono, cilindro. E lo spazio acquista la stessa fisica concretezza del soggetto.

Il clima della metafisica

Anche nel corso di questa stagione Morandi resta essenziale e concentrato sulla sintassi spaziale e la ricerca della forma; sette dipinti tra il 1918 e 1919 che presentano oggetti elementari quali manichini, solidi geometrici, appunto essenziali, privi di qualunque relazione, organizzati, rigorosi e severi, in uno spazio bagnato da una luce trasparente, pura geometria, con una pittura “tirata” che non ha peso. I colori, anch’essi severi, sono l’ocra, il bianco, il nero. Con le opere metafisiche Morandi ottiene il Gran Premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1948. L’anno dopo, un dipinto decisivo del 1916 entra nel Museum of Modern art di New York.

Il ritorno al reale

Nella seconda metà del 1919 la rarefazione della metafisica si allenta in sintonia con il “ritorno all’ordine” e anche Morandi ritorna alla realtà e alla tradizione accostandosi al gruppo “Valori Plastici”. Questo passaggio è segnato da una sequenza straordinaria di opere del 1919 e 1920 dove gli oggetti, tra i più comuni e quotidiani, riacquistano una verosimiglianza prospettica e plastica. La luce si fa reale e ne sottolinea la presenza e il peso.

In questa eccezionale sequenza si avverte la suggestione per Caravaggio e il primo Seicento romano in due nature morte, quasi materiche e notturne; nell’opera Fiori (collezione privata) dal colore puro e delicato c’è il ricordo di Piero della Francesca. Le tenui cromie riportano ancora una volta all’affresco tre e quattrocentesco.

Nel corso della sperimentazione degli anni ’20 Morandi gioca su tutti i temi della sua pittura: paesaggio, natura morta, fiori, creando una eccezionale gamma di soluzioni inedite e guardando ad altri maestri quali Rembrandt incisore e Chardin. La pittura si fa più materica e il reale si esprime con rigore geometrico ma allo stesso tempo si avverte il prevalere di una istintività pittorica più libera e immediata.

Incisione, pittura e acquaforte, la conquista tonale

 La sua prima incisione è del 1912 ma altro è l’acquaforte del 1928 Grande natura morta con la lampada a destra, definita dai critici un prodigio di abilità. La tecnica dell’acquaforte, praticata con intensità in questi anni di definizione del suo linguaggio artistico, giungerà a risultati tra i più elevati del Novecento italiano. Morandi sperimenta le due sole cromie del bianco e nero – il “bianco assoluto”, come lo chiamava, e il fitto reticolo di segni lavorati con il bulino, in infinite tonalità di grigio. Queste esperienze sono assai utili per testare anche in pittura la riduzione del colore a due tonalità fondamentali; in questi anni si verifica una progressiva conquista della pittura tonale che non ha eguali in Italia e Europa, in quel tempo.

Nel 1930 gli è assegnata per chiara fama la cattedra di tecnica dell’incisione all’Accademia di Bologna, incarico che manterrà fino al 1956. Nel 1953 ottiene il Gran Premio per l’Incisione alla II Biennale del Museo d’Arte Moderna di San Paolo del Brasile.

Il paesaggio, dieci anni di sperimentazione

Il tema è presente fin dagli esordi ma rappresenta meno di un quinto dell’intero corpus e si alterna alla natura morta. In una intervista, negli anni ’30, Morandi precisa: “È vero, ho fatto più nature morte che paesaggi – e dire che i paesaggi li amavo di più.

Tra realtà e astrazione, alternandosi alle nature morte, Grizzana nell’Appennino bolognese, e il cortile di via Fondazza sono i motivi ricorrenti dipinti in una luce diafana, velata, con le ombre che hanno la consistenza degli oggetti.

Gli anni ’40 e ‘50

C’è una svolta nel percorso dell’artista bolognese. Le sezioni centrali della mostra offrono allo sguardo più di trenta opere che documentano un impulso alla semplificazione. C’è una precisa regia nelle composizioni che presentano gli stessi oggetti, più e meno numerosi, con un impianto centrale o verticale, e con disposizioni differenti sia pur in minima misura. La luce cambia, è frontale o laterale, radente o piena. Tra dipinti e acquerelli, nascono Paesaggi degli anni di guerra, nature morte di Conchiglie. Dagli ocra ai bruni, il colore si polverizza nella luce trasparente.

La stagione dell’acquerello produce più di duecentocinquanta fogli in otto anni e una visione sintetica di grande forza. La volontà costruttiva, il controllo tonale e l’espressione pittorica si fondono in una sorprendente sintesi formale. Nel 1957 ottiene il Gran Premio per la Pittura alla IV Biennale Internazionale di San Paolo del Brasile.

L’ultima stagione

Negli anni ‘60, l’ultima stagione di Morandi, nel variare dei motivi ci sono intuizioni sempre più complesse, una stilizzazione formale ai limiti dell’astrazione o della costruzione architettonica, mentre gli oggetti sono allo stesso tempo riconoscibili e intangibili. Le immagini, costruite più con l’ombra che con la luce, le forme sospese tra un tempo presente e un tempo indefinito, tra uno spazio reale e uno spazio mentale e, secondo Morandi, svelano l’illusione della realtà.

Del reale non resta che l’essenza, per sottrazione, con un progressivo dissolvimento dell’oggettosenza mai perdere l’oggetto.
È qui che Morandi raggiunge il punto più avanzato della sua opera. “Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose” (Giorgio Morandi, 1960).
Nelle ultime due sale ci sono opere significative e straordinarie che chiudono idealmente un percorso durato cinquant’anni.

Morandi e gli altri

Tornando alla curatrice, Maria Cristina Bandera ci racconta ancora alcune cose sul pittore bolognese.
Morandi è stato apprezzato da subito da alcuni collezionisti e dai critici che hanno capito l’importanza del suo linguaggio e, via via, la sua importanza è cresciuta nel tempo. Sembra, ma non è provato, che già nel 1934 a Milano sia stata fatta una mostra di Morandi.
Ruolo fondamentale l’ha avuto Roberto Longhi che nel 1934 ha parlato di Morandi a conclusione della sua prolusione sulla pittura bolognese, dal Trecento fino appunto a Morandi, dove affermava che Morandi era uno dei grandi pittori italiani, quindi già con una dimensione italiana. E sempre Longhi, nel 1945, parla ancora di Morandi dei suoi oggetti semplici, della evocazione del paesaggio e delle nature morte.
Una lettura difficile della sua opera, anche a causa di un pregiudizio circa il suo isolamento smentito dalla rassegna di Palazzo Reale che comprova la realtà dei molti e forti rapporti che Morandi intratteneva con critici quali Longhi, Brandi, Arcangeli – che davano di lui letture diverse -, con la Galleria del Milione, con artisti come Carrà e De Chirico e con lo stesso Argan che ha organizzato la prima mostra di Morandi (una delle prime importanti) nel 1957 in America.
Quanto al Morandi “artista ripetitivo”, come è stato a volte giudicato, la Bandera insiste sul fatto che questa mostra può aiutare a rileggere Morandi con occhi nuovi, guardando le sue opere che godono di un eccezionale allestimento curato da Corrado Anselmi e spesso accostate sulla stessa parete, apparentemente simili, ma, in realtà, non sono mai uguali: cambia il formato, cambiano i colori, cambia la disposizione, anche se di poco, degli oggetti.
Alle spalle di tutto questo c’è una elaborazione lenta e meditata, una ricercatezza.
Lo spettatore deve fare un esercizio di lettura e, come affermava Schjeldahl, recensore del New Yorker al tempo della mostra su Morandi al Metropolitan, “tutti dovremmo avere un quadro di Morandi come esercizio quotidiano per l’occhio, per la mente e per l’anima”
Conclude la Bandera dicendo che per Morandi la natura è fatta di caratteri che non sono quelli del nostro alfabeto ma, citando Galileo, sono forme geometriche.
Oggi questa rassegna ci offre il momento ideale per guardare a Morandi in chiave moderna e alle sue opere con gli occhi del nostro tempo.

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