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Le crete senesi: tra deserto e paesaggio lunare, la natura va in scena

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Le crete senesi: tra deserto e paesaggio lunare, la natura va in scena

di Francesca Spanò | @francynefertiti

La pioggia da queste parti non arriva spesso e il panorama argilloso, diventa una distesa di deserto a perdita d’occhio. In tale contesto quasi lunare, tra Siena e la Val D’Orcia, le pendici del Monte Cetona e dell’Amiata, appare in tutta la sua meraviglia una zona della Toscana unica, nota a tutti con il nome di Crete Senesi.

Il fenomeno erosivo delle Crete

A sud di Siena si apre un microcosmo particolare, diviso tra rilievi poco elevati e rugosi solcati da profondi calanchi. Qui colline e vigneti sembrano appartenere a un altro mondo, ma all’orizzonte si notano ancora pascoli e terre coltivate. L’uomo qui non è riuscito a rubare molto alla natura, utilizzando soltanto il metodo della mezzadria, raccontato nel museo di Buonconvento. Questo paesaggio è stato protagonista anche nell’arte, in particolare in quella figurativa toscana del Medioevo e di tutto il Quattrocento. Tra brulle colline e crete grigiastre, fa da contrasto stagione dopo stagione una varietà cromatica del panorama intorno a regalare l’idea di trovarsi dentro a un quadro. Ecco, dunque, che si aggiunge il verde in primavera, il giallo bruciato (Terra di Siena) in estate, e il marrone e il grigio in autunno e in inverno.

La tradizione e la lavorazione del cotto

A completare la cromia locale, poi, un’antica arte che identifica molto la zona. Si ritrova, dunque, nelle case coloniche e negli edifici pubblici e un po’ in ogni angolo dei borghi. Non è diverso per la monumentale abbazia di Monte Oliveto Maggiore con i suoi affreschi rinascimentali, per non parlare di Rapolano con la lavorazione del travertino.

Da Monte Oliveto Maggiore ai segreti delle erbe

Alle lunghe file di cipressi ordinati e perfetti siamo abituati quando pensiamo ai paesaggi toscani, ma l’effetto è ancora più incredibile quando il grigio dei calanchi lascia il posto al verde brillante degli arbusti in ordinato susseguirsi. Sullo sfondo, la mole rossastra dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore che risale al 1313. La sua fondazione si deve al nobile Bernardo Tolomei che voleva vivere secondo la regola di San Benedetto dell’Ora et Labora. Queste terre aspre, dunque, furono subito messe a coltura dai monaci e le Crete restarono solo un ricordo. Nel XVIII secolo, poi, il tempio religioso fu rifatto seguendo le linee del Barocco e notevoli sono gli intarsi prospettivi del coro ligneo di Giovanni da Verona dei primi del Cinquecento. L’impressione è di trovarsi dentro a un quadro vero. Gli affreschi si notano anche nelle volte del grande refettorio e nel chiostro maggiore, cuore del monastero, ma non dobbiamo dimenticare che qui si conoscevano bene i segreti delle erbe. I monaci olivetani, infatti, ne erano degli esperti conoscitori e li utilizzavano nell’antica farmacia per formulare estratti, infusi e unguenti in grado di curare diversi malanni. La Flora di Monte Oliveto, in particolare, è invecchiato di sei mesi ed è un liquore conservato nelle botti dell’abbazia. La sua ricetta contiene 23 erbe e le sue proprietà digestive sono comprovate.

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