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Il San Francesco di Francisco de Zurbarán ai Musei Capitolini di Roma

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Il San Francesco di Francisco de Zurbarán ai Musei Capitolini di Roma

di Daniela di Monaco

Ancora una settimana (fino al 15/5) per ammirare l’impressionante tela del celebre pittore spagnolo per la prima volta in Italia.

Le opere dell’artista spagnolo in Italia

Non è una mostra come molte persone speravano, me compresa, ma è stata l’occasione per ammirare una opera unica del grandissimo pittore spagnolo del Seicento, Francisco de Zurbarán: San Francesco contempla un teschio, originariamente parte di una pala d’altare (retablo) conservata nella chiesa carmelitana del collegio di Sant’Alberto a Siviglia. Ed è anche la sola opera di Zurbaran ospitata a Roma nei Musei Capitolini grazie a un prestito del Saint Louis Art Museum.
Sono rarissime le opere di Zurbarán conservate in Italia – solo a Firenze e a Genova – e l’unica mostra monografica che gli è stata dedicata e organizzata, a Ferrara nel 2013, non includeva questo prezioso gioiello.

Francisco Zurbarán (1598-1664) San Francesco contempla un teschio, 1635 ca. olio su tela, cm 91,4 x 30,5 Saint Louis, Saint Louis Art Museum, inv.47:1941 È una delle raffigurazioni più impressionanti di San Francesco d’Assisi, ossessione pittorica ed eponima di Zurbarán. Il santo, vestito con l’abito dei frati minori cappuccini, è in piedi in atto di avanzare verso di noi mentre medita sul teschio che tiene tra le mani. Il capo è reclinato e il volto si intravede appena sotto al cappuccio appuntito che verticalizza la figura e che si ripete come una eco nell’ombra alle sue spalle. Se la figura a un primo sguardo può sembrare un modello studiato dal vero, in realtà essa si svela ai nostri occhi come un’invenzione che emerge lentamente dal buio e prende forma per effetto della luce `divina´ che la colpisce. La tavolozza, quasi monocroma, concorre al rigore e alla forte austerità devozionale trasmessa dal santo raccolto in un muto dialogo con il cranio, chiara allusione alla fragilità dell’esistenza umana e alla sua brevità.
Francisco Zurbarán (1598-1664) San Francesco contempla un teschio, 1635 ca. olio su tela, cm 91,4 x 30,5 Saint Louis, Saint Louis Art Museum, inv.47:1941 È una delle raffigurazioni più impressionanti di San Francesco d’Assisi, ossessione pittorica ed eponima di Zurbarán. Il santo, vestito con l’abito dei frati minori cappuccini, è in piedi in atto di avanzare verso di noi mentre medita sul teschio che tiene tra le mani. Il capo è reclinato e il volto si intravede appena sotto al cappuccio appuntito che verticalizza la figura e che si ripete come una eco nell’ombra alle sue spalle. Se la figura a un primo sguardo può sembrare un modello studiato dal vero, in realtà essa si svela ai nostri occhi come un’invenzione che emerge lentamente dal buio e prende forma per effetto della luce `divina´ che la colpisce. La tavolozza, quasi monocroma, concorre al rigore e alla forte austerità devozionale trasmessa dal santo raccolto in un muto dialogo con il cranio, chiara allusione alla fragilità dell’esistenza umana e alla sua brevità.

Lo stile

Zurbarán ha un originalissimo linguaggio pittorico. Uno stile austero, severo e rigorosamente geometrico con il quale costruisce le sue immagini monumentali tra fascino e poesia. Tutto questo gli ha meritato definizioni quali pittore mistico, onirico, metafisico, magico e infine, l’appellativo di “Caravaggio di Spagna” datogli per primo da Antonio Palomino, biografo spagnolo.

Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) San Giovanni Battista, 1602 olio su tela, cm 129 x 94 Roma, Musei Capitolini, inv. PC 239 Il dipinto raffigura un giovane completamente nudo, adagiato su una pelle di animale e su panni bianchi e rossi, mentre abbraccia felice un ariete e sorride girandosi verso lo spettatore. La luce proviene dall’alto a sinistra, colpisce la schiena nuda del ragazzo, parte del viso e della gamba destra, lasciando invece in ombra il resto del corpo. Nell’opera Caravaggio ha umanizzato il divino e divinizzato l’umano: San Giovanni si rincarna in un giovane sorridente, malizioso e sensuale, che esprime con tutto il suo corpo la gioia di vivere. A sua volta il fanciullo interpreta un giovane santo ancora ignaro del suo drammatico destino. La figura sembra emergere all’improvviso dall’oscurità e materializzarsi improvvisamente davanti ai nostri occhi in uno spazio reale, sotto una luce reale, in un tempo reale, che quasi ci sembra di poterla toccare.
Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) San Giovanni Battista, 1602 olio su tela, cm 129 x 94 Roma, Musei Capitolini, inv. PC 239 Il dipinto raffigura un giovane completamente nudo, adagiato su una pelle di animale e su panni bianchi e rossi, mentre abbraccia felice un ariete e sorride girandosi verso lo spettatore. La luce proviene dall’alto a sinistra, colpisce la schiena nuda del ragazzo, parte del viso e della gamba destra, lasciando invece in ombra il resto del corpo. Nell’opera Caravaggio ha umanizzato il divino e divinizzato l’umano: San Giovanni si rincarna in un giovane sorridente, malizioso e sensuale, che esprime con tutto il suo corpo la gioia di vivere. A sua volta il fanciullo interpreta un giovane santo ancora ignaro del suo drammatico destino. La figura sembra emergere all’improvviso dall’oscurità e materializzarsi improvvisamente davanti ai nostri occhi in uno spazio reale, sotto una luce reale, in un tempo reale, che quasi ci sembra di poterla toccare.

Zurbarán e Caravaggio

Zurbarán non venne mai in Italia e i chiaroscuri caravaggeschi li conobbe solo attraverso le copie delle opere giunte in Spagna nel primo decennio del Seicento, osservando i dipinti di seguaci e allievi di Caravaggio a cominciare da Jusepe de Ribera.
Partendo dallo stile del Merisi, Zurbarán elaborò una personale versione del “tenebrismo”, ma, a differenza di Caravaggio, nei suoi dipinti la luce non ha funzione naturale, ma divina.
Zurbarán rimase affascinato dal sintetismo formale di Caravaggio, soprattutto del periodo napoletano, e dalla tecnica del chiaroscuro.
Se Caravaggio fu il pittore della realtà quotidiana, Zurbarán fu il narratore della vita monastica spagnola e dello spirito religioso del Seicento.

Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) Buona Ventura, 1597 olio su tela, cm 115 x 150 Roma, Musei Capitolini, inv. PC 131 Il dipinto è un importante esempio delle novità dirompenti introdotte in pittura da Caravaggio. Raffigura un episodio di vita quotidiana cui sembra di poter assistere in un giorno qualunque inoltrandosi tra i vicoli e le piazze della Roma di fine Cinquecento. Partendo dal fondo della tela Caravaggio costruisce uno spazio indefinito ma reso reale dalla luce naturale che invadendo il campo pittorico costruisce forme e volumi. I personaggi, una zingara e un giovane cavaliere, sono modelli viventi, vestiti con abiti contemporanei, tratti dall’osservazione del vero. Tuttavia, il soggetto dell’opera non è solo ciò che si vede: la giovane e seducente zingara, con il pretesto di leggere il futuro al cavaliere, gli prende la mano e con un gesto rapido gli sfila l’anello dall’anulare destro, dunque un chiaro monito a non farsi ingannare e a non cedere alla seduzione dei falsi profeti.
Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) Buona Ventura, 1597 olio su tela, cm 115 x 150 Roma, Musei Capitolini, inv. PC 131 Il dipinto è un importante esempio delle novità dirompenti introdotte in pittura da Caravaggio. Raffigura un episodio di vita quotidiana cui sembra di poter assistere in un giorno qualunque inoltrandosi tra i vicoli e le piazze della Roma di fine Cinquecento. Partendo dal fondo della tela Caravaggio costruisce uno spazio indefinito ma reso reale dalla luce naturale che invadendo il campo pittorico costruisce forme e volumi. I personaggi, una zingara e un giovane cavaliere, sono modelli viventi, vestiti con abiti contemporanei, tratti dall’osservazione del vero. Tuttavia, il soggetto dell’opera non è solo ciò che si vede: la giovane e seducente zingara, con il pretesto di leggere il futuro al cavaliere, gli prende la mano e con un gesto rapido gli sfila l’anello dall’anulare destro, dunque un chiaro monito a non farsi ingannare e a non cedere alla seduzione dei falsi profeti.

San Francesco

La scelta di esporre il San Francesco in mezzo ai dipinti di Caravaggio e il Velazquez con Ritratto di Juan de Cordoba, ha lo scopo di confrontare l’uso della luce in questi tre geni universali dell’arte del Seicento, cogliere affinità e differenze, i rapporti tra forma, spazio e tempo quali comun denominatore. Mentre resta diversa tra loro la scelta pittorica personale e l’interpretazione simbolica.
Le dimensioni del dipinto sono contenute, ma ciononostante è impressionante il formalismo mistico sprigionato dall’umile fraticello. Il santo, vera ossessione pittorica dell’artista, è raffigurato in piedi con l’abito dei cappuccini mentre contempla un teschio che tiene tra le mani.

Diego Rodríguez de Silva y Velázquez (1599-1660) Ritratto di Juan de Córdoba, 1650 ca. olio su tela, cm 67 x 50 Roma Musei Capitolini, inv. PC 62 Il ritratto raffigura l’agente della corona spagnola Juan de Córdoba, braccio destro di Velázquez nel secondo soggiorno romano dell’artista (1649-1651). Il dipinto fu verosimilmente realizzato in omaggio al suo fidato amico, come peraltro lo sciolto trattamento pittorico e lo stato quasi di abbozzo della veste inducono a pensare. Guardando il volto dell’uomo si rimane catturati dallo sguardo che il personaggio ci rivolge. Di lui Velázquez ci restituisce non solo la veridicità delle sembianze ma la sua umanità, i suoi pensieri più intimi, la sua individualità. Un realismo penetrante e allo stesso tempo romantico, che mette a nudo la persona e dove forma e sembianze non sono definite ma solo suggerite con una pennellata sciolta e veloce in cui anche i contorni sembrano dissolversi nella vibrazione del respiro dell’uomo.
Diego Rodríguez de Silva y Velázquez (1599-1660) Ritratto di Juan de Córdoba, 1650 ca. olio su tela, cm 67 x 50 Roma Musei Capitolini, inv. PC 62 Il ritratto raffigura l’agente della corona spagnola Juan de Córdoba, braccio destro di Velázquez nel secondo soggiorno romano dell’artista (1649-1651). Il dipinto fu verosimilmente realizzato in omaggio al suo fidato amico, come peraltro lo sciolto trattamento pittorico e lo stato quasi di abbozzo della veste inducono a pensare. Guardando il volto dell’uomo si rimane catturati dallo sguardo che il personaggio ci rivolge. Di lui Velázquez ci restituisce non solo la veridicità delle sembianze ma la sua umanità, i suoi pensieri più intimi, la sua individualità. Un realismo penetrante e allo stesso tempo romantico, che mette a nudo la persona e dove forma e sembianze non sono definite ma solo suggerite con una pennellata sciolta e veloce in cui anche i contorni sembrano dissolversi nella vibrazione del respiro dell’uomo.

I simboli

L’aspetto è severo e monumentale, accentuato dal rigore geometrico e dalla verticalità del cappuccio e delle pieghe della tonaca che cade dritta fino a terra, lasciando fuori le mani e le punte dei piedi scalzi. Il capo chinato in avanti a guardare il teschio, è quasi interamente nascosto dal cappuccio e il viso barbuto resta in ombra mentre il teschio è in piena luce.
C’è una ideale linea perpendicolare che unisce il volto del santo al volto di chi è trapassato e simboleggia il passaggio dalla vita alla morte, la fragilità della esistenza umana e la vanitas, tema caro alla pittura barocca spagnola e all’arte della Controriforma.
Il colore si limita alla gamma dei grigi e dei marroni dove si creano ombre. La figura del santo non appare come ripresa da un vero modello di frate cappuccino, ma piuttosto come una invenzione che emerge dall’ombra e dalla mente dell’artista. Il santo, nella contemplazione del cranio, è distaccato e inafferrabile, immerso in una dimensione mistica.
In Zurbarán è un processo creativo e visivo lento e non immediato come avviene in Caravaggio, mentre luci e ombre non sono naturali ma hanno valore simbolico e spirituale.

Mostra
Il San Francesco del Saint Louis Art Museum tra Caravaggio e Velázquez
Musei Capitolini, Pinacoteca, Sala Santa Petronilla. Fino al 15/5/2022.
 

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