

Qualunque vita, per quanto inumana, con l’assuefazione diventa umana.
Yasunari Kawabata, La casa delle belle addormentate, 1933
In questi ultimi anni la popolazione urbana ha superato quella che abita delle regioni rurali. Sebbene questa tendenza sembri inarrestabile, un grande numero di persone continua a vivere caparbiamente in territori molto difficili, dove tuttavia si sono creati delicati equilibri di convivenza tra l’uomo e la natura. Equilibri estremamente fragili, che significano innanzitutto scarsa disponibilità di cibo e acqua, beni primari, essenziali, preziosi.
Per questo, il concetto di “terra estrema” può essere declinato in più modi: è sinonimo di limite della sopravvivenza umana, ma chiama in causa anche la capacità di adattamento delle persone, si relativizza nelle culture e nelle tradizioni e modella la fisiologia di chi le abita. Le terre estreme sono spesso luoghi di fatica e di sofferenza, ma sono anche esempi di adattamento straordinario, creativo e talvolta affascinante al deserto piuttosto che ai ghiacci, alla foresta come all’acqua. Insomma luoghi in cui l’“estremo” diventa il contesto “normale”, per quanto ostile, della vita di intere popolazioni.
Ancora oggi sono molti i luoghi e le storie di chi vive in condizioni e in terre estreme; c’è chi lo fa per scelta e chi per necessità. Scandagliare questi mondi, anche attraverso le immagini, significa mettere al centro dell’attenzione sia l’habitat di riferimento, sia le strategie di sopravvivenza (coltivazione, allevamento, caccia, pesca…) sia l’ambiente culturale di chi le abita, e dunque, soprattutto, le storie di vita delle persone. Le terre estreme diventano così luoghi reali – ma anche altamente simbolici ed evocativi – di interazione tra vicende umane e scenari ambientali ai quattro angoli del pianeta.
Ancora oggi sono molti i luoghi e le storie di chi vive in condizioni e in terre estreme; c’è chi lo fa per scelta e chi per necessità. Scandagliare questi mondi, anche attraverso le immagini, significa mettere al centro dell’attenzione sia l’habitat di riferimento, sia le strategie di sopravvivenza (coltivazione, allevamento, caccia, pesca…) sia l’ambiente culturale di chi le abita, e dunque, soprattutto, le storie di vita delle persone. Le terre estreme diventano così luoghi reali – ma anche altamente simbolici ed evocativi – di interazione tra vicende umane e scenari ambientali ai quattro angoli del pianeta.
Bruno Zanzottera (Monza, 1957) fotogiornalista e cofondatore dell’agenzia Parallelozero, ha iniziato a fotografare da ragazzo, affascinato dal mondo celtico.
Nel 1979 compie il suo primo viaggio africano, attraversando con una Peugeot 404 il Sahara fino al Golfo di Guinea. Da allora l’Africa è stata meta privilegiata dei suoi reportage fotografici, anche se non sono mancati numerosi lavori in Asia e America latina, dove ha esplorato luoghi e popolazioni fino alle zone più remote del pianeta. Nel 2008 ha creato insieme ad alcuni colleghi l’agenzia fotografica Parallelozero (www.parallelozero.com). Collabora con numerose testate italiane e straniere, tra cui Geo France, Geo International, National Geographic Italia, Focus, Bell’Europa. Nel 2014 ha realizzato il suo primo documentario, Il Gioco delle perle di vetro…
Bruno Zanzottera è tra i finalisti nella categoria Professional Landscape del Sony World Photography Award 2023 con il suo racconto Postcards from Afghanistan. È anche selezionato nella categoria Ambiente professionale con il racconto PPascoli di sabbia
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