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La serra Dolcedorme e la faggeta ph v.giannella

MEZZOGIORNO SELVAGGIO

Testo e foto Vittorio Giannella

La natura abita ancora qui. A cavallo tra Basilicata e Calabria, il parco nazionale del Pollino, la più estesa area protetta italiana, tutela un complesso montuoso, che ha conservato preziose presenze naturali e scenari ancora selvaggi, difesi con la stessa tenace ostinazione, che si esprime nei tronchi contorti dei pini loricati, simbolo del parco. Silenziosi incanti senza rinunciare ai piaceri: la buona tavola, il buon albergo, il rapporto con la gente, che conservano la propria identità per visitatori curiosi, che non tornano a casa senza aver capito questa straordinaria natura e senza avere imparato ad amarla. Ecco allora i musei naturalistici, i centri visita e le guide naturalistiche che vi condurranno per mano alla scoperta di questo parco.

“In autunno il rumore di una foglia che cade è assordante perché con lei precipita un anno.”

Tonino Guerra

Porta del Pollino ph vgiannella
Pini loricati in cresta nella nebbia ph vgiannella

Staccate la spina. Qui ci sono sentieri dedicati agli occhi, un posto caro agli dei che lo elessero a loro dimora. Montagne ammantate di boschi imbionditi e dorati dall’autunno, dove respirare a pieni polmoni aria pura, vedere animali e torrenti tumultuosi. Un luogo che regala ai visitatori straordinarie esperienze di wilderness. Non esiste equivalenza tra lontananza e magnificenza, anche mete vicine hanno la capacità di trasmettere una particolare magia a chi le visita. Questa montagna, la più alta del Mezzogiorno d’Italia, che i montanari hanno toccato solo per farvi legna, intreccio con il lavoro millenario dell’uomo, sfuggita alla “valorizzazione”, al cemento, alle funivie, è un concentrato di aspetti naturalistici, talvolta unici,  molto interessanti, dove lo sguardo può spaziare senza incontrare il segno dell’uomo. Per scoprire e apprezzare al meglio i tesori che il Pollino e l’Orsomarso riservano, occorre tenere presente alcune precauzioni: scarponi da montagna, giacca a vento e un abbigliamento da media e alta montagna, se poi scegliete di farvi accompagnare da una guida naturalistica ancora meglio, apprezzerete anche i piccoli dettagli che ai più sfuggono. A ottobre e novembre, a seconda delle quote, non è più il verde dei prati a dominare, bensì il giallo in tutte le sue sfumature. La natura cambia mantello e chi si avventura in escursioni, ogni giorno nota una tonalità diversa. Faggete come navate di una chiesa, tanto vetuste da essere state inserite nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità UNESCO, torrenti cristallini che hanno scavato canyon profondi, sono lo scenario che si presenta a chi lo visita un passo dopo l’altro. In questo periodo quando la stagione è a metà strada tra l’autunno e l’inverno, il parco nazionale del Pollino, può rappresentare una meta ideale per un lungo weekend, dove si può camminare per ore senza incontrare anima viva, scoprire le tracce del lupo impresse nel fango,  osservare i volteggi dell’aquila reale sulle creste più elevate o semplicemente ascoltare i campanacci delle mucche al pascolo, un variegato mosaico ambientale esteso poco più di 192 mila ettari, stretto tra il mar Tirreno  e il mar Jonio, con molte cime che superano i 2000 metri (la Serra Dolcedorme la più alta di tutte s’innalza a quota 2267).

Pollino ph vgiannella
Pini loricati ph. vgiannella

Il Pollino, (definito dagli antichi Achei Mons Apollineum, cioè monti di Apollo), con il vicino Orsomarso, vantano una natura da primato. I loro ambienti incontaminati, i pini loricati aggrappati alle pareti più ripide, le faggete senza fine, offrono linfa vitale a 1700 specie di piante e rifugio all’aquila reale, grifoni e capovaccai, l’ormai rarissimo Driomio, piccolo roditore delle foreste, picchi neri, caprioli meridionali e gufi reali, lupi  e gatti selvatici, e alle rare lontre, solo per citarne alcuni, luoghi che vanno scoperti al ritmo dei propri passi, così come hanno fatto per secoli i pastori con le loro greggi e i briganti, nel secolo scorso. Questo è il Pollino, uno scrigno di natura del Meridione d’Italia, un insieme grandioso di rocce magmatiche, calcari dolomitici, circhi glaciali e doline che ne fanno uno dei 10 geoparchi italiani protetti dall’UNESCO. I due versanti offrono una visione completamente diversa: più aspro e dirupato quello calabrese, al contrario, con pendii più dolci con una successione di altopiani erbosi e boschi che sembrano estendersi all’infinito, quello lucano. Arrivare a Serra di Crispo, denominato “il giardino degli Dei” a quota 2000 metri è una sorta di viaggio nel tempo, accanto a maestosi pini loricati, che ci accompagnano come silenti Ciceroni alla scoperta del territorio, e di una lunga storia. Almeno 500 anni di vita in media ciascuno, affermano i botanici, ma a guardarli con la loro corteccia rugosa, simile a una corazza romana, i rami piegati nella direzione del vento dominante e i tronchi contorti sembrerebbero di più. Solo grazie al nuovo metodo di datazione con l’accelleratore di particelle Tandetron dell’Università del Salento, a Serra delle Ciavole è stato trovato da poco, un pino matusalemme di 1230 anni, l’albero più vecchio d’Europa, battezzato Italus, in onore di un antico re enotrio.

Serra del Prete ph vgiannella

Il terreno è poco su queste creste spesso avvolte nella nebbia gelida, la roccia è subito sotto; eppure, con le loro radici aggrappate a picco nel vuoto questi tenaci abitanti delle vette hanno resistito secoli. Per realizzare certi capolavori, e tanti sono alberi già morti da tempo, è plausibile che la natura si sia presa tutto il tempo necessario. Anche chi vuole arrivare quassù non deve avere fretta, seguendo il sentiero che da Piano Ruggio sale lasciandosi alle spalle il rifugio De Gasperi, adatto anche per i più pigri. Bisogna salire con calma, osservando e ascoltando ciò che questi ultimi patriarchi hanno da raccontare in fatto di valanghe, tempeste e fulmini. Sul crinale, aspettando che si dissolva la nebbia mattutina, lo sguardo può spaziare su tutta la cerchia delle altre vette; dalla Serra Dolcedorme, al Pollino, alla Serra del Prete, giù invece, fumano i camini dei piccoli paesi calabresi. Anche nel vicino Orsomarso, che domina il tratto settentrionale del Tirreno calabrese, le foreste che si spingono fino a quote elevate sono segnate dai colori del fogliame dei faggi, cerri, aceri montani, ma dalla cima della Montea, le sue vertiginose creste ospitano il nobile popolo dei pini loricati a picco sulla costa dove approdò Enea, reduce dalla lunga guerra di Troia, e vedono il cielo e il mare che, come uno specchio si riflettono. Abbarbicati con la stessa tenacia degli uomini che qui abitano, e per questo ne è diventato il simbolo. Spettacolari le gole del Raganello e Argentino, dove, gli impetuosi torrenti, si sono fatti strada tra vertiginose pareti di roccia alte quattrocento metri . Pittoreschi i borghi montani, incastonati nelle sue pieghe che hanno vissuto per secoli in completo isolamento, al contrario dei paesi sulla costa jonica e tirrenica poco lontani.

Serra delle Ciavole 2000 m pollino ph vgiannella

Come Orsomarso, incorniciato da alte vette, dominante la valle del fiume Argentino, dove la chiesa di San Giovanni Battista offre agli occhi del visitatore un gioiello storico artistico che lascia stupefatti per gli affreschi che decorano la volta, opera del pittore orsomarsese Gian Battista Colimodio, e quelli nella sagrestia, ancora più antichi, della Madonna Regina, con i capelli a treccia e biondi. Un tesoro senza tempo testimonianza del ricco passato di questo borgo medievale. Il  Pollino è anche un variopinto mosaico antropologico, un crogiolo di etnie diverse, accenti e culture eterogenee frutto di tormentate vicende storiche. In nove comuni sopravvivono ancora usanze e costumi della cultura Arbèreshe, discendenti dagli albanesi giunti quassù nel 1534 per sfuggire alle persecuzioni dei mussulmani al di là dell’Adriatico, un “miracolo antropologico” lo definì Pasolini durante una sua visita, perché hanno conservato intatti nei quasi sei secoli le loro tradizioni, e ancora oggi non è difficile vedere donne anziane vestite con costumi tradizionali colorati e con ampi merletti. Si viveva di pastorizia, e la loro comunità resiste tuttora indissolubilmente legata a una terra difficile ma unica, e dal 1970 diffonde da Civita un periodico trimestrale, Katundi Yne,(Paese nostro) l’organo di informazione più letto tra gli Arbèreshe, che  si impegna a tenere viva la comunità in Italia e nel mondo, sempre più aperti alle contaminazioni seppur fedeli all’etnia Arbèreshe.

Carnevale maschera di Alessandria del carretto ph vgiannella
S. Maria della Consolazione .Altomonte ph vgiannella
Fontana a rotonda sede del Parco Nazionale del Pollino Orsomarso. ph vgiannella

“Qui a Civita, il passato rivive in ogni pietra, ma si punta sui giovani perché loro fanno vibrare di futuro una storia di oltre cinque secoli, ora che i borghi arbereshe corrono il rischio di estinzione, sia dal punto di vista linguistico culturale, che demografico” ci dice Stefania Emmanuele, redattrice della rivista. La storia di questa minoranza etnica poco tutelata dalle istituzioni è ben descritta nel piccolo museo sulla piazza principale. Per tradizione le messe sono cantate secondo il rito greco bizantino e Arbèreshe,  con paramenti sacri ortodossi e la piccola chiesa adornata di sacre icone, mosaici e iconostasi.

Stefania Emmanuele responsabile di redazione della rivista Katundi Yne arbereshe ph.v giannella

Dal 1993, questa perla naturalistica incastonata nel cuore del Mediterraneo, protegge un territorio diviso tra le province di Potenza, Matera e Cosenza, con borghi arroccati e le case addossate le une alle altre, pochi abitanti e tante chiese, che testimoniano la loro profonda religiosità, e in alto, i resti di un castello a guardia del territorio circostante, ben visibili a Morano calabro, Viggianello e Rotonda, ad esempio. Sapori robusti e antichi saperi, si fondono nel segno della buona ospitalità, e solo con il rafforzamento di una nuova economia attenta al turismo intelligente, alla qualità della vita, alla cucina tradizionale, all’artigianato, alla ripresa di attività compatibili con la tutela del territorio, si può interrompere l’emorragia che spopola gran parte dei paesini di montagna, e riportare le popolazioni ai suoi borghi per impedire che diventino ruderi di una civiltà sconfitta.

Chiesa di S Maria Assunta del1600 a Civita. Liturgia arbereshe bizantina phv giannella

Nel territorio l’uomo ha lasciato abbondanti tracce della sua opera, dalla colonizzazione greca e romana, bizantina e normanna fino al regno angioino aragonese. E cosa ci facevano i nostri antenati 12 mila anni fa nella valle del fiume Lao a due passi da Papasidero? Una presenza che sarebbe passata inosservata se qualche graffitaro dell’epoca non avesse usato alcuni massi lisci per tracciarvi linee e disegni, come il bovide ritrovato nella grotta del Romito, perfetto nei particolari, insieme a scheletri, manufatti e cocci, che hanno rivelato agli studiosi l’esistenza di un commercio di ossidiana proveniente dalle isole Eolie.

Tutto il buono della Calabria in questo cesto da Barbieri di Altomonte ph vgiannella
Angolo di Morano Calabro ph vgiannella
Carabinieri forestali in perlustrazione a Malvento phv giannella

A Rotonda, sede del parco, c’è un interessante Museo naturalistico e paleontologico, che conserva fossili di animali preistorici, che hanno calcato queste terre, come i resti di un esemplare di Elephas antiquus italicus risalente al Pleistocene (400-700 mila anni fa) e di un ippopotamo. Ma Rotonda è nota in tutta la Basilicata, per un rito propiziatorio le cui origini si perdono nella notte dei tempi, legato alla fecondità della terra: il matrimonio fra due alberi, si avete letto bene. Alberi che diventano punto d’incontro tra la terra e il cielo legata alla forza generatrice della natura.

Faggi serpente ad Acquafredda

È la Sagra dell’Abete che si tiene a giugno in concomitanza con la festa dedicata a Sant’Antonio da Padova. Gli sposi sono un faggio e un abete, scelti con cura, vengono portati in processione trainati da buoi tra le vie del borgo. Innalzati al cielo e uniti legandoli con delle funi formano un altissimo totem, dove il faggio rappresenta l’elemento maschile, l’abete quello femminile. Ma non perdetevi una visita a Morano Calabro, tra i paesi più belli della penisola, con la sua ragnatela di vicoli che portano tutti al castello dominante, o Altomonte, di grande effetto scenografico, tappa per visitare la parte orientale dell’Orsomarso; ammaliò anche Plinio il Vecchio che lo menziona nei suoi scritti, e bellissima, la chiesa di S.Maria della Consolazione (XIV sec) unico esempio di arte gotico-angioina in Calabria, addossato, il museo civico con opere di Simone Martini e Bernardo Daddi. Insomma, un invito al viaggio, nel parco nazionale del Pollino e Orsomarso, all’insegna della bellezza paesaggistica, della scoperta e dell’enogastronomia con cibi genuini e antichi, della profonda ospitalità, del piacere del tempo ritrovato.

Tetti di S Donato di Ninea ph vgiannella

Info

Dormire e mangiare

Borgo Ospitale a Rotonda (PZ) è un albergo diffuso con diversi alloggi dislocati nel centro storico, confortevoli e dotati con i sistemi comunicativi più evoluti. Nel ristorante A’ Rimissa, si mangiano esclusivamente ingredienti tipici e antiche ricette rivisitate dallo chef Donato. Tel. 0973 66170.

La nuova Locanda di mamma Ada a Contrada Marina di Orsomarso. Tel.  328 1873573- 0985 42692.Dotata di camere immerse in piena campagna, la cucina casalinga offre piatti della tradizione con paste fatte a mano per tutta la famiglia e gli ospiti. Chi vuole, può uscire in giardino e raccogliere vari tipi di peperoncini da mettere nel piatto.

Hotel Barbieri ad Altomonte, in posizione stupenda con il borgo di fronte. Organizza corsi di cucina tenuti dallo chef nonché titolare Enzo Barbieri, una bottega dei prodotti gastronomici calabri ben assortita e una terrazza con vista meravigliosa. Tel. 0981 948525.

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