Tutte le strade portano a Stade
Stade. Centro storico ph. F.Klausner
Date
- 21.05.22
Tutte le strade portano a Stade

Era il porto fluviale sull’Elba a cui approdavano i pellegrini dell’Europa del Nord attraverso il Mar Baltico, per incamminarsi verso Roma, a 2.200 km di distanza lungo la via Romea Germanica. Comparsa nella storia nel 994, quando venne saccheggiata dai Vichinghi, divenne poi proprietà del principato arcivescovile di Brema dal 1180, quindi conquistata dai danesi e dagli svedesi. Colpita dalla peste nel 1355 e 1712, che uccise il 40% degli abitanti, subì infine un incendio nel 1659 che distrusse il 60% della città, ma venne risparmiata dalle bombe della II Guerra Mondiale.

Il suo centro è ancora raccolto intorno al porto fluviale, collegato dallo Schwinge all’Elba. L’iconica l’antica gru in legno a pedali utilizzata un tempo per scaricare le barche, affiancata da più recenti argani manuali, guarda l’immobile barca da carico, ormeggiata come in una scena teatrale, cui contribuiscono la statua di una famosa pescivendola con in mano un merluzzo, ai piedi un cestino e il suo cane, e le case a graticcio (Fachwerk) affacciate sullo specchio d’acqua. Il termine Fachwerk si usa in Germania per definire una geniale e plurisecolare metodologia costruttiva in cui l’edificio è sorretto da una struttura di legno portante, come una cornice di montanti e travi, assemblati tra loro. Lo scheletro di assi a vista è funzionale ed estetico. Gli spazi che rimangono vuoti tra un traliccio e l’altro vengono riempiti con il graticcio o con un impasto di ciottoli e laterizio. Questo tipo di architettura fu utilizzato in Germania fino all’800, permettendo di realizzare edifici con forme e decorazioni uniche, a seconda dell’estro del mastro carpentiere. C’è addirittura una strada, la Fachwerkstrasse, 2800 km, che percorre la Germania da nord a sud che le raduna e lungo cui sorge anche Stade.

La città è anche la porta della cosiddetta Altes Land, il cui nome, che in tedesco significa terra antica, deriverebbe in realtà da una storpiatura del termine “terra boscosa” in olandese, lingua dei coloni. Si tratta di una marcita bonificata, la maggior produttrice di frutta del nord Europa, 143 kmq di cui il 76% mele. Qui sorge la Herzapfelhof Lühs, un’azienda biodinamica per la coltivazione di frutta, mele soprattutto, che risale al 18° secolo e alla quinta generazione di agricoltori. Le 125.000 piante presenti, su 39 ettari, producono 1.000 tonnellate l’anno di mele di 215 varietà, alcune delle quali desuete.

La coltivazione bio assicura nessun utilizzo di concimi, diserbanti o spray chimici. Per evitare che i vermi delle mele (Laspeyresia pomonella) si riproducano e le larve si introducano nei frutti, per esempio, viene spruzzato un virus, innocuo per l’uomo, che riproduce l’odore della femmina e confonde il maschio impedendone la riproduzione. Le mele raccolte poi passano attraverso una macchina che fotografa l’esterno e scansiona l’interno di ciascun frutto, alla velocità di uno ogni 3 secondi, e provvede a scartare le mele fuori standard che vengono avviate alla produzione di succo (Apfelsaft).

Il nome dell’azienda viene da cuore (Herz), simbolo che veniva realizzato coprendo alla luce una pozione della buccia e poi rimuovendo la maschera, mentre oggi viene in un certo senso “tatuato” con uno speciale laser, che ne schiarisce i pigmenti. Oltre al cuore è possibile tatuare le mele personalizzandole con semplici motivi a scelta. Un altro cuore sta proprio al centro della piantagione, tracciato dagli alberi, ma ahimè si vede solo dall’alto.

Il nome dell’azienda viene da cuore (Herz), simbolo che veniva realizzato sulla buccia delle mele coprendone alla luce una porzione e poi rimuovendo la maschera, mentre oggi viene in un certo senso “tatuato” con uno speciale laser, che ne schiarisce i pigmenti. Oltre al cuore è possibile tatuare le mele personalizzandole con semplici motivi a scelta. Un altro cuore sta proprio al centro della piantagione, tracciato dagli alberi, ma ahimè si vede solo dall’alto.