Se potessi esprimermi a parole, non avrei nessuna ragione per dipingere
Così si raccontava nel 1956 Edward Hopper, il pittore che voleva dipingere la luce del sole sul lato di una casa. Diventato uno dei maggiori artisti del Novecento è noto in Europa, soprattutto per i quadri raffiguranti scene di vita urbana soffuse di una luce e una atmosfera particolari e un po’ dolenti.
L’uso della luce e delle inquadrature come nelle scene di un film
Che sia la solitudine dell’unico palazzo in stile, al centro di una piazza delimitata da banali casermoni della tela The City del 1927 o, la tristezza della donna affacciata alla finestra nel Cape Cod Morning del 1950, i quadri di Hopper sono quasi sempre intrisi di malinconia e spesso inquietudine. Non di rado comunicano sensazioni di disagio e minaccia. Persino nello studio sulle chiome degli alberi, la percezione della impenetrabilità della foresta, trasforma lo schizzo a carboncino in un viaggio in mondi misteriosi e poco benevoli. La strada vuota davanti a un oscuro filare di alberi, in Road and Trees del 1962, suggerisce forse un cammino verso un incerto futuro. Così come la via che si perde nel buio della foresta del ben più iconico Gas del 1940. Nel raffrontare paesaggi rurali e paesaggi urbani Hopper denuncia spesso la brutale intrusione dell’uomo nella natura.
Per la prima volta il focus della esposizione sugli affascinanti paesaggi dell’artista
La mostra alla Beyeler parte da un paesaggio del 1928, Cape Ann Granite, ceduto in prestito permanente dalla Collezione Rockefeller. Convenzionalmente, nella storia dell’arte, il termine “paesaggio” indica una rappresentazione della natura in cui, in qualche modo, si rivela l’azione dell’uomo. Cosa questa, che nei quadri di Hopper, si palesa in maniera sottile e diversificata. I suoi paesaggi suggeriscono spazi senza limiti, idealmente sconfinati, che paiono sempre mostrare una frazione minima di un tutto immenso. Organizzata dalla Fondation Beyeler, in collaborazione con il Whitney Museum of American Art di New York che possiede la più grande collezione di Hopper, l’esposizione comprende 65 opere eseguite a partire dal 1909 al 1965.
“Impiego molti giorni a trovare un soggetto che mi piaccia abbastanza”
Hopper lavorò a lungo come illustratore ma seguì corsi di pittura alla New York School of Art trovando ispirazione in artisti come Velazquez, Goya, Courbet e Manet. La sua spiccata propensione per gli effetti cromatici e la grande abilità nel rappresentare luci e ombre impose un’estetica nuova che seppe influenzare non solo la pittura ma anche la cultura popolare, la fotografia e il cinema. L’artista ha dato un sostanziale contributo a formare l’idea di un’America malinconica, segnata anche dai lati oscuri del progresso – un enorme spazio senza confini, divenuto popolare nella sua versione cinematografica da Intrigo Internazionale di Hitchcock a Paris, Texas di Wenders a Balla coi lupi di Costner.
L’omaggio del regista del Cielo sopra Berlino
E proprio Wim Wenders è stato chiamato a rendere omaggio all’artista che ne ha influenzato l’opera filmica con un cortometraggio in 3D dal titolo Two or Three Things I know about Edward Hopper. Alla ricerca dello “Spirito di Hopper”, Wenders ha viaggiato attraverso l’America, raccogliendo impressioni poi condensatesi nel film concepito per questa mostra. La pellicola sottolinea in maniera poetica e commovente non solo quanto il cinema debba a Hopper ma anche quanto lui stesso ne fosse affascinato. Come dice il regista “volevo che lo spettatore potesse immergersi nell’universo di Hopper, artefice di opere iconiche e insieme narratore di destini e storie”.
INFO
Titolo: Edward Hopper.
Dove: Fondation Beyeler, Baselstrasse 101, Riehen Basel.
Quando: dal 26 gennaio al 17 maggio 2020.
Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 18. Mercoledì fino alle 20.
Biglietti: CHF 25, bambini e studenti fino ai 25 anni gratuito
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