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L’anno di Dante e i mosaici ravennati nella Divina Commedia

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L’anno di Dante e i mosaici ravennati nella Divina Commedia

La seconda pillola del viaggio dantesco è dedicata al prof. Ivan Simonini, che ha recentemente pubblicato la seconda edizione del libro I mosaici ravennati nella Divina Commedia dal primo Canto dell’Inferno all’ultimo del Paradiso.

Testo e foto di Bruno Zanzottera

In occasione del 700 anniversario della morte di Dante il prof. Ivan Simonini ha dato alle stampe una nuova versione aggiornata del suo precedente libro dal titolo I mosaici ravennati nella Divina Commedia dal primo Canto dell’Inferno all’ultimo del Paradiso. Nel libro il professore traccia un parallelismo tra i mosaici bizantini di Ravenna e i canti della Divina Commedia riscontrando ben 111 analogie.

“In questa città Dante, forse sorprendendosi, ha scoperto che il messaggio da lui lanciato al mondo era assai simile al messaggio lanciato al mondo dai mosaici bizantini. In quei mosaici ritrovò l’unità di intenti tra Chiesa e Impero (gli organi sovranazionali di allora), unità resa possibile dall’agire entrambi senza pestarsi i piedi e senza sovrapposizioni nefaste nei rispettivi autonomi ruoli. Se la cosiddetta donazione di Costantino alla Chiesa di Roma (con spostamento dell’Impero a Bisanzio) aveva avviato la corruzione economica della Chiesa stessa, Giustiniano rimise poi nel verso giusto il corso della storia restaurando l’Impero in Italia. L’idea di Dante è la stessa dell’antico mosaicista ravennate che vede la maestà imperiale sovrastata e autorizzata dal Cristo Pantocratore di S. Vitale” scrive il prof. Simonini all’inizio del suo libro.

Di seguito commentiamo alcune immagini dei mosaici con i relativi canti danteschi dove il prof. Simonini ha ravvisato delle evidenti analogie.

Nel mosaico con il battesimo di Cristo sulla cupola del battistero degli Ariani a Ravenna si trova la compresenza sia del battesimo per immersione che per aspersione. Come aspersorio è raffigurata la colomba dello Spirito Santo che spruzza l’acqua sul capo di Gesù. Nelle acque del fiume Lete, Dante vive l’esperienza analoga del doppio e contemporaneo battesimo. Sente una voce dolcissima che gli recita il salmo della purificazione (Asperges me) mentre Matelda s’incarica di immergerlo fino a fargli inghiottire l’acqua che lo libera dal peccato.

Quando fui presso alla beata riva ‘Asper ges me’ sì dolcemente udissi che no ’l so rimembrar, non ch’io lo scriva. La bella donna nelle braccia aprissi, abbracciommi la testa e mi sommerse ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi. (Purgatorio, Canto XXXI, versi 97-102)

Il mosaico sull’abside di Sant’Apollinare in Classe nei pressi di Ravenna.

Qui vince la memoria mia l’ingegno chè in quella croce lampeggiava Cristo sì ch’io non so trovar esempio degno ma chi prende sua croce e segue Cristo ancor mi scuserà di quel ch’io lasso. vedendo in quell’albor balenar Cristo. (Paradiso, Canto XIV, 103-108)

Il canto gli fu probabilmente ispirato dalla grande croce gemmata al centro del mosaico che si trova nell’abside dellabasilica di S. Apollinare in Classe nei pressi di Ravenna. Il sacro segno che nel cielo di Marte incastona i martiri caduti combattendo per la fede tra cui spicca la figura di Cacciaguida, valoroso crociato la cui gloria è alla base delle origini nobiliari di Dante.

Particolare del mosaico dell’abside della basilica di S. Apollinare in Classe nei pressi di Ravenna.

Come le pecorelle escon dal chiuso a una, a due, a tre e l’altre stanno timidette atterrando l’occhio e il muso e ciò che fa la prima, e l’altre fanno. (Purgatorio, Canto III, versi 79-82)

Qui Dante descrive le anime degli scomunicati morti violentemente e convertitisi all’ultimo momento. Arroganti in vita (come Re Manfredi), sono umili nell’espiazione. Timidette poi sono quelle ancora non uscite dal recinto o dall’ovile e che continuano a tenere l’occhio e il muso verso terra.

Il mosaico di una sirena nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Ravenna.

L’altra prendea e dinanzi l’aprìa fendendo i drappi, e mostravami ’l ventr e: quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. (Purgatorio, Canto XIX, versi 31-33)

Qui, scrive il prof. Simonini: ‘Dante sogna una femmina sciatta, balbuziente, guercia, storpia e monca. Nel sogno, Dante vede quella femmina deforme trasformarsi in una bellissima sirena con la parlantina sciolta, diritta e con sul volto i colori della piena salute. La sirena ancora sta intortando Dante che un’altra femmina, santa ed efficiente, piomba sulla scena e chiede conto a Virgilio del perché permetta a Dante di lasciarsi allettare dai falsi beni mondani che quella sirena gli offre. Interviene una ragione superiore (Lucia) perché la ragione umana (Virgilio) è inadeguata. A quel punto Virgilio piomba a sua volta sulla sirena, le straccia le vesti, le apre le gambe e mostra il suo ventre nudo: ne esce un tale fetore che Dante si sveglia’.

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