di Daniela Bozzani
Birgit Jürgenssen, artista viennese, morta nel 2003, aveva un linguaggio forte e una capacità espressiva sofisticata. Ma era anche una persona timida e schiva, che rifuggiva il “circo mediatico” e, per questo, forse, non fu celebrata abbastanza quando era ancora in vita. Una donna libera che non accettava costrizioni né dalla famiglia né dalla società, né tanto meno dal mondo dell’arte. Una femminista che trasmetteva messaggi di forte provocazione contro il mondo maschilista. Ma anche una donna attenta alla moda, appassionata soprattutto di scarpe. Una donna contraddittoria e un’artista poliedrica, che usava diversi mezzi di espressione, che sperimentava, che continuava a evolvere per allontanarsi da qualsiasi etichetta o segno riconoscibile.
Autoaffermazione da cancellare
Io sono, titolo della mostra, al GAMeC di Bergamo è anche il titolo di una delle opere più emblematiche dell’artista. Una lavagnetta su cui è scritto col gesso Ich bin. E una spugna con cui in qualunque momento si può cancellare l’affermazione e la persona stessa. Una dichiarazione forte di autodeterminazione ma nello stesso tempo fragile nella evanescenza polverosa del gesso bianco.
Sei sezioni con più di 150 lavori
Le sei sezioni in cui è articolata la mostra offrono uno spaccato esaustivo sulla immensa e variegata opera della Jürgenssen. Gli oltre 150 lavori realizzati in quarant’anni di ricerca permettono di entrare nel mondo di un’artista ancora non molto conosciuta in Italia, ma che non mancherà di suscitare un entusiastico interesse per i suoi lavori. Dai disegni ai collage, dalle sculture alle fotografie, dai rayogrammi alle cianotipie e ai gouache.
Da Bicasso Jürgenssen a “Voglio uscire di qui”
Il percorso espositivo occupa tutte le sale della Galleria, dai disegni dell’infanzia firmati BICASSO Jürgenssen, ai lavori più maturi, di grande formato, passando attraverso i giochi linguistici e letterari, che raccontano la contaminazione narrazione e rappresentazione. La giovane austriaca contestava i pregiudizi e i modelli di comportamento a cui le donne erano soggette, adottando un’ironia pungente come nel sarcastico Grembiule da cucina da casalinghe. I lavori sugli stereotipi della vita coniugale rappresentano la casa e il matrimonio come incubi piuttosto che sogni, luoghi di costrizione da cui sarebbe meglio scappare come nella fotografia Ich mochte hier raus! Voglio uscire di qui del 1976.
Il pensiero selvaggio nelle forme ibride
Ma sin dagli anni Settanta il suo pensiero si evolve, aprendosi a nuove considerazioni sulla natura profonda dell’uomo e sul rapporto natura-cultura. Il “pensiero selvaggio” la spinge a tracciare sul proprio corpo le relazioni tra uomo e animale. In questo processo dà vita a creature ibride, in cui l’animale è ancorato, innestato all’interno dell’essere umano. E lo stesso accade con gli elementi vegetali. Corpi percepiti non come forme ma come “formazioni”, organismi viventi dalla sensibilità ecologica profonda come Nest. Nido, simbolica fotografia del 1979 o la Zebra del 2001.
Un approccio individuale e intimo
L’opera di Birgit Jürgenssen assume un nuovo significato nel nostro presente: in un momento storico in cui assistiamo alla rimessa in discussione di principi e diritti fondamentali e a una progressiva banalizzazione delle questioni legate al femminile, il suo approccio non rigidamente ideologico ma più radicato nella sfera individuale e intima, infonde nuova concretezza al potere emancipatorio dell’arte.
Info utili
Titolo: Io sono. Birgit Jürgenssen.
Dove: Gamec. Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, via S. Tomaso, 53.
Quando: dal 7 marzo al 19 maggio.
Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 18. La biglietteria chiude alle 17. Chiuso il martedì.
Costo: 6€, ridotto e gruppi 4€
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