Cerca
Close this search box.
Muholi Ziphelele Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Ziphelele in lingua Zulu significa “Sono completi”. I copertoni di bicicletta che costringono il busto dell’artista denunciano un’atroce forma di tortura ed esecuzione sommaria, detta Necklacing, pratica tristemente diffusa negli anni Ottanta in Sudafrica, durante un periodo di intensi disordini politici. I copertoni, cosparsi di benzina, venivano collocati sul corpo delle vittime da giustiziare per impedire loro ogni possibilità di movimento. Quindi veniva dato loro fuoco.
Muholi Ziphelele Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Ziphelele in lingua Zulu significa “Sono completi”. I copertoni di bicicletta che costringono il busto dell’artista denunciano un’atroce forma di tortura ed esecuzione sommaria, detta Necklacing, pratica tristemente diffusa negli anni Ottanta in Sudafrica, durante un periodo di intensi disordini politici. I copertoni, cosparsi di benzina, venivano collocati sul corpo delle vittime da giustiziare per impedire loro ogni possibilità di movimento. Quindi veniva dato loro fuoco.

MUHOLI. A VISUAL ARTIST

Opere di Muholi. Testo di Daniela Bozzani

Muholi che non ama definirsi, Muholi che ha scelto di essere semplicemente un essere umano, Muholi che ha scelto di rinunciare al suo nome femminile a favore di un nome neutro, che si possa usare, nella lingua anglosassone, senza pronomi o declinazioni maschili o femminili, Muholi che vuole essere semplicemente Visual Activist.

Muholi Ntozakhe II Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Ntozakhe in lingua Zulu significa “Qualcosa di tuo”. Si tratta di una delle immagini più celebri e potenti di Muholi. Adornata di una corona di accessori per capelli, con una ripresa fotografica dal basso per conferire una plasticità statuaria all’immagine, Muholi mette in scena il concetto di libertà rifacendosi stilisticamente alla statua che più la simboleggia. Muholi ci parla di libertà - quella libertà che tutte le donne dovrebbero avere – e orgoglio, di essere donne e nere. Questa iconografia vuole essere il manifesto di tutte le donne discriminate e di tutte le donne che combattono per i loro diritti, in situazioni domestiche o nella società, soprattutto le donne nere.
Muholi Ntozakhe II Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Ntozakhe in lingua Zulu significa “Qualcosa di tuo”. Si tratta di una delle immagini più celebri e potenti di Muholi. Adornata di una corona di accessori per capelli, con una ripresa fotografica dal basso per conferire una plasticità statuaria all’immagine, Muholi mette in scena il concetto di libertà rifacendosi stilisticamente alla statua che più la simboleggia. Muholi ci parla di libertà - quella libertà che tutte le donne dovrebbero avere – e orgoglio, di essere donne e nere. Questa iconografia vuole essere il manifesto di tutte le donne discriminate e di tutte le donne che combattono per i loro diritti, in situazioni domestiche o nella società, soprattutto le donne nere.
Muholi Bhekezakhe Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Bhekezakhe in lingua Zulu significa “Guarda”. A un primo sguardo, non si nota che, in questa potente immagine, l’elemento decorativo dell’acconciatura è costituito da fascette. Utili a riparare oggetti tra le mura domestiche, le fascette assumono ben altro significato quando si tramutano in uno strumento di costrizione per ridurre qualcuno all’impotenza. In Sudafrica, infatti, sono spesso utilizzate dalla polizia o da chi commette crimini contro la persona. Lo sguardo diretto e l’espressione di Muholi conferiscono all’immagine una dimensione inquietante, che evoca l’incombere di un pericolo.
Muholi Bhekezakhe Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Bhekezakhe in lingua Zulu significa “Guarda”. A un primo sguardo, non si nota che, in questa potente immagine, l’elemento decorativo dell’acconciatura è costituito da fascette. Utili a riparare oggetti tra le mura domestiche, le fascette assumono ben altro significato quando si tramutano in uno strumento di costrizione per ridurre qualcuno all’impotenza. In Sudafrica, infatti, sono spesso utilizzate dalla polizia o da chi commette crimini contro la persona. Lo sguardo diretto e l’espressione di Muholi conferiscono all’immagine una dimensione inquietante, che evoca l’incombere di un pericolo.

E’ un personaggio curioso, affascinante, con uno sguardo intenso che cattura chi lo intercetta dal vivo ma, soprattutto, quando dalla stampa fotografica sembra seguirti per interrogarti. Sì, perché mentre percorri le stanze scure a cui sono appesi i suoi lavori, se ti fermi a guardare quella foto che potrebbe sembrare una ironica combinazione di elementi e riferimenti surreali, lo sguardo magnetico negli occhi della foto successiva ti riporta indietro. Ti costringe a guardare meglio quegli oggetti quotidiani, ti costringe a leggere i titoli, le didascalie, per capire appieno il significato profondo di quegli oggetti apparentemente innocui. Pettini, mollette da bucato, tubi di aspirapolvere, copertoni diventano improvvisamente oggetti del dolore, fisico o mentale non importa, ma dolore. Il dolore di una madre costretta a servire in una casa di bianchi, il dolore di ragazzine costrette a lisciare capelli ricci e crespi, il dolore fisico della tortura coi copertoni che stringono le braccia togliendo ogni possibilità di difesa.

Muholi Khanukani I Brooklyn, New York, 2017 © Zanele Muholi
Muholi Bester I Mayotte, 2015 © Zanele Muholi Bester è il nome della madre di Muholi, scomparsa ancora giovane nel 2009 dopo una vita di lavoro come domestica che le aveva permesso di mantenere i suoi otto figli; il padre era morto poco dopo la nascita dell’artista. Muholi intitola Bester varie immagini dedicate alla madre. La posa ieratica e l’acconciatura a forma di corona simboleggiano il riscatto che Muholi vuole offrire alla memoria di Bester. In questo caso, l’apparente ironia dell’acconciatura realizzata con le mollette da bucato si confronta con la tristezza accusatoria dello sguardo e parla di una condizione di soggezione comune a molte donne nere sudafricane sottopagate, che dedicano la vita al benessere altrui.
Muholi Bester I Mayotte, 2015 © Zanele Muholi Bester è il nome della madre di Muholi, scomparsa ancora giovane nel 2009 dopo una vita di lavoro come domestica che le aveva permesso di mantenere i suoi otto figli; il padre era morto poco dopo la nascita dell’artista. Muholi intitola Bester varie immagini dedicate alla madre. La posa ieratica e l’acconciatura a forma di corona simboleggiano il riscatto che Muholi vuole offrire alla memoria di Bester. In questo caso, l’apparente ironia dell’acconciatura realizzata con le mollette da bucato si confronta con la tristezza accusatoria dello sguardo e parla di una condizione di soggezione comune a molte donne nere sudafricane sottopagate, che dedicano la vita al benessere altrui.
Muholi Aphelile X Durban, 2020 © Zanele Muholi Aphelile in lingua Zulu significa “È finita”. Questa serie di immagini poetiche e giocose è stata realizzata durante il lockdown causato dal Covid. Bloccata in casa, Muholi invita a non arrendersi e a sperimentare la propria creatività con ciò che si ha a disposizione. Non manca tuttavia di lasciare un messaggio pungente: il titolo indica come sia difficile reperire anche i generi di prima necessità, quali la carta igienica e le mascherine
Muholi Aphelile X Durban, 2020 © Zanele Muholi Aphelile in lingua Zulu significa “È finita”. Questa serie di immagini poetiche e giocose è stata realizzata durante il lockdown causato dal Covid. Bloccata in casa, Muholi invita a non arrendersi e a sperimentare la propria creatività con ciò che si ha a disposizione. Non manca tuttavia di lasciare un messaggio pungente: il titolo indica come sia difficile reperire anche i generi di prima necessità, quali la carta igienica e le mascherine

E quello sguardo bianco, ipnotico su quelle immagini quasi completamente nere, un po’ ti interroga e un po’ ti accusa. Ti accusa di una indifferenza che è stata, ma ancora esiste. Non solo nei confronti dei neri del Sudafrica, ma ancora negli Stati Uniti, in Europa con gente che scappa da guerre e miseria e non suscita altro che fastidio in molta, troppa gente. Ogni sua immagine racconta una storia precisa, un riferimento a esperienze personali o una riflessione su un contesto sociale e storico più ampio. Uno sguardo che denuncia, inquieta e commuove ma che invita ad andare oltre il primo livello di lettura dello scatto.

Muholi Xiniwe at Cassilhaus North Carolina, 2016 © Zanele Muholi
Muholi Xiniwe at Cassilhaus North Carolina, 2016 © Zanele Muholi
Zanele Muholi MaID II Atlanta, 2017 © Zanele Muholi
Zanele Muholi MaID II Atlanta, 2017 © Zanele Muholi
Muholi Phila I Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Phila in lingua Zulu significa “Vivere”. I guanti in lattice nero gonfiati a ricoprire quasi interamente il busto di Muholi simboleggiano diverse questioni sociali: le pratiche mediche cui la comunità queer spesso non ha accesso, le scene dei crimini perpetrati a danno della comunità LGBTQIA+, le condizioni del lavoro manuale. Sono gonfi in quanto rimandano alla necessità di respirare, di non sentirsi soffocati (tema ricorrente nell’attivismo visivo di Muholi). Qui però Muholi invita anche al gioco, alla libertà di interpretare i guanti-palloncini in modo più leggero e liberatorio.
Muholi Phila I Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Phila in lingua Zulu significa “Vivere”. I guanti in lattice nero gonfiati a ricoprire quasi interamente il busto di Muholi simboleggiano diverse questioni sociali: le pratiche mediche cui la comunità queer spesso non ha accesso, le scene dei crimini perpetrati a danno della comunità LGBTQIA+, le condizioni del lavoro manuale. Sono gonfi in quanto rimandano alla necessità di respirare, di non sentirsi soffocati (tema ricorrente nell’attivismo visivo di Muholi). Qui però Muholi invita anche al gioco, alla libertà di interpretare i guanti-palloncini in modo più leggero e liberatorio.

Mai come oggi c’è bisogno di un’Arte potente, che sfidi il pensiero retrogrado, che indaghi instancabilmente temi come razzismo, eurocentrismo, femminismo e politiche sociali e Muholi, che ama definirsi attivista prima ancora di artista, è tutto questo e altro ancora. Perché Muholi non si ferma alla fotografia ma i suoi mezzi espressivi sono in continua evoluzione e spazia dalla scultura alla pittura all’immagine in movimento.

Muholi Julile I Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Julile in lingua Zulu significa “Profondo - Assorto nei propri pensieri”. In questa immagine molto privata, definita “terapeutica” dall’artista stessa, la macchina fotografica diviene uno strumento di “autodifesa” utile al proprio equilibrio psicofisico. Muholi riflette qui sul modo in cui il corpo della donna viene raffigurato dai media (i giornali sullo sfondo) e al tempo stesso sulle proprie fragilità personali. Pochi giorni dopo, Muholi avrebbe subito un serio intervento chirurgico. “Mi trovavo in uno spazio di riflessione e mi sentivo in ansia”: una riflessione profonda cui il titolo dell’opera fa riferimento.
Muholi Julile I Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi Julile in lingua Zulu significa “Profondo - Assorto nei propri pensieri”. In questa immagine molto privata, definita “terapeutica” dall’artista stessa, la macchina fotografica diviene uno strumento di “autodifesa” utile al proprio equilibrio psicofisico. Muholi riflette qui sul modo in cui il corpo della donna viene raffigurato dai media (i giornali sullo sfondo) e al tempo stesso sulle proprie fragilità personali. Pochi giorni dopo, Muholi avrebbe subito un serio intervento chirurgico. “Mi trovavo in uno spazio di riflessione e mi sentivo in ansia”: una riflessione profonda cui il titolo dell’opera fa riferimento.

Il lavoro esposto al MUDEC che, come sempre ci regala una mostra magnetica e intelligente, fa parte di una serie di autoritratti iniziata nel 2012 e ancora in corso – Somnyama Ngonyama (Ave, Leonessa Nera) – un lavoro che ha avuto riconoscimenti internazionali con esposizioni nei più prestigiosi musei. I suoi lavori, di una bellezza struggente, hanno creato movimenti d’opinione che seguono la sua voce e la nascita della sua fondazione Muholi Art Foundation per la promozione di giovani artisti neri. Ha scelto di esporsi in prima persona anche come ambasciatrice di spicco della comunità LGBTQIA

Muholi Cwazimula II Paris, 2019 © Zanele Muholi Cwazimula in lingua Zulu significa “Splendi/ Brilla”. Questa immagine ironica mette in scena un cestino della spazzatura e una coperta ignifuga reperite in un hotel di Parigi. Muholi invita a una creatività estemporanea e totale, spostando il punto di osservazione di un semplice oggetto e liberandone le potenzialità espressive. Rende qui omaggio alla corrente artistica nera dell’Afrofuturismo degli anni Settanta, nata dalla volontà dei neri americani di godere degli stessi diritti civili dei bianchi e di essere coinvolti nel discorso sul futuro e sullo sviluppo tecnologico.
Muholi Cwazimula II Paris, 2019 © Zanele Muholi Cwazimula in lingua Zulu significa “Splendi/ Brilla”. Questa immagine ironica mette in scena un cestino della spazzatura e una coperta ignifuga reperite in un hotel di Parigi. Muholi invita a una creatività estemporanea e totale, spostando il punto di osservazione di un semplice oggetto e liberandone le potenzialità espressive. Rende qui omaggio alla corrente artistica nera dell’Afrofuturismo degli anni Settanta, nata dalla volontà dei neri americani di godere degli stessi diritti civili dei bianchi e di essere coinvolti nel discorso sul futuro e sullo sviluppo tecnologico.
Zanele Muholi Konje II, ISGM Boston, 2019 © Zanele Muholi
Zanele Muholi Konje II, ISGM Boston, 2019 © Zanele Muholi

Le oltre 60 immagini spaziano dai primissimi autoritratti ai più recenti lavori realizzati durante il lockdown. La bellezza delle composizioni e il talento assoluto dell’artista sono per Muholi solo un mezzo per affermare la necessità di esistere, la dignità e il rispetto cui ogni essere umano ha diritto, a dispetto della scelta del partner o del colore della pelle o del genere con cui si identifica. Anche la preparazione dello scatto – totalmente non post prodotto – è già una performance artistica. Prepara soggetto, setting e luci, con cura meticolosa, lavorando soprattutto sui contrasti cromatici del bianco e nero e l’uso metaforico di oggetti semplici ma che, dalle sue mani, vengono quasi trasformati in carismatici complementi di moda. Ma sono i suoi occhi che guardano direttamente in camera a ricondurti alla realtà di denuncia, a superare il primo livello di lettura dell’autoritratto patinato per riportarti alla forza evocativa del messaggio.

Il suo messaggio arriva forte e chiaro “ … siamo qui, con le nostre voci, le nostre vite e non possiamo fare affidamento sugli altri per sentirci rappresentati in maniera adeguata. Tu sei importante. Nessuno ha il diritto di danneggiarti per la tua razza, per il modo in cui esprimi il tuo genere o per la tua sessualità perché, prima di tutto, tu sei”.

INFO

Mostra:MUHOLI. A VISUAL ACTIVIST. Una mostra 24ORE Cultura, in collaborazione con Sudest57. A cura di Beba Giacchetti. Progetto di allestimento: Studio Corrado Anselmi. Institutional partner: Fondazione Deloitte – Deloitte. Dove: Mudec Via Tortona 56 Milano Quando: dal 31/3 al 30/7 2023 Orari: lun 14.30-19.30 / mar/dom 9.30-19.30 gio e sab fino alle 22.30 Biglietti: intero 12€ – ridotto 10€ la biglietteria chiude un’ora prima della chiusura.

TRAVELGLOBE Riproduzione riservata©

Reportage
Correlati

POTREBBE INTERESSARTI