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Wabi-sabi ovvero come accogliere la bellezza dell’imperfezione

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Wabi-sabi ovvero come accogliere la bellezza dell’imperfezione

WABI-SABI from Cristóbal Vila on Vimeo.

di Federica Giuliani | @traveltotaste

Immaginate un libro con le pagine ingiallite e la copertina un po’ stropicciata, magari con qualche macchia. Un testo classico passato di mano in mano, da genitori a figli, che ora resta nella libreria di casa in attesa di essere ripreso da qualche nuovo appassionato di storie. Quei difetti dovuti al tempo e all’usura rendono il libro un pezzo unico, in grado di evocare momenti indimenticabili e, per questo, ne aumentano la bellezza. Questo, in breve, è il wabi-sabi giapponese: la capacità di accogliere e comprendere la bellezza dell’imperferzione.

Wabi-sabi: due parole per un solo concetto

Due termini distinti che, insieme, spiegano un concetto preciso. Wabi indica la bellezza discreta, nata dall’imperfezione naturale e mai intenzionale. Un esempio tipico è un oggetto frutto di lavoro artigianale: la bellezza è data proprio dai piccoli difetti che ne indicano una lavorazione manuale.

Sabi, invece, esprime un’idea di bellezza legata al passare del tempo che si palesa solo con l’usura dovuta all’invecchiamento. Un esempio? Le posate d’argento della nonna, le cui macchie non vanno più via o un mobile antico, con nuove crepe nel legno.

Wabi-sabi, quindi, va oltre l’apparenza per concentrarsi sui piani più sottili e gli aspetti meno evidenti, ispirandosi alla natura per le sue regole fondamentali: nulla è perfetto, nulla è completo, nulla è permanente. Non a caso, gli oggetti wabi-sabi a prima vista appaiono asimmetrici, semplici, realizzati con materiali naturali, con superfici irregolari, di colore non uniforme: è necessario avere esperienza e una sensibilità superiore per apprezzarne pienamente il valore estetico. L’unico modo per sperimentare il wabi-sabi è quello di ruotare l’attenzione dall’aspetto esteriore verso l’interno.

Il concetto di wabi-sabi si applica a tutti gli ambiti dell’esistenza: dall’arte alla fotografia, dalla natura alle relazioni sociali, dall’arredamento al lavoro. Bisogna solo esercitarsi. Magari andando in uno dei tipici rifugi giapponesi; ce n’è uno anche in Italia.

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