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LO SGUARDO OBLIQUO

Scala #1936. Roma. @Luciano Romano

LO SGUARDO OBLIQUO

Foto di Luciano Romano. Testi di Luciano Romano, Adriana Rispoli, Walter Guadagnini

Le scale sono la perfetta metafora dell’azione umana: trasformare la natura e costruire il mondo a propria immagine, tendere all’assoluto e al trascendente, sfidare la legge di gravità partendo dalla pesantezza e dall’opacità della pietra per mirare alla luminosità del cielo. Per quanto siano grandiose, articolate e imponenti, esse conservano un rapporto intimo e diretto con il nostro corpo che le percorre misurandole col proprio passo. Le scale sono la soglia del divenire, dell’ascesa, del progresso; costruzioni nate per il collegamento funzionale tra i diversi piani diventano il tramite simbolico tra i diversi livelli della coscienza; il passaggio tra la materia e l’anima reso evidente dall’alternarsi di luce e ombra. Le fotografie raccontano questo processo di trasfigurazione, catturano lo sguardo e lo disorientano in un imprevedibile gioco combinatorio tra la geometrica rappresentazione del mondo visibile e la visione onirica. In esse, gli elementi della realtà cedono il passo alla vertigine dei sensi, rivelando forme che si inseguono con andamento ipnotico, rampe che si avvolgono verso un chiarore abbagliante o che sprofondano nel buio di una voragine senza fondo. Spazi fisici che alludono a stati d’animo.

©Luciano Romano.
Loop#1937, Verona, 2013. Architetto
Franco Fagioli
©Luciano Romano. Scala#1936 Milano. Casa della Fontana Architetto Rino Ferrini.

“Sono sempre stato attratto dalla forma a spirale descritta da queste immagini, questa figura geometrica non lascia mai indifferenti, è sempre coinvolgente e intimamente legata al nostro modo di percepire il mondo visibile, al punto da diventare una visione da cui è difficile distogliere lo sguardo. Una possibile spiegazione di questo potere attrattivo è che questa è una forma ricorrente in natura, che si ritrova a tutti i livelli dimensionali, dalla chiocciola di una piccola conchiglia alla disposizione della materia cosmica nella galassia, una matrice formale assoluta, che obbedisce alle leggi fondamentali della fisica, e che pertanto, ci appartiene intimamente. L’immagine che lascia una traccia è sempre lo specchio di qualcosa che già possediamo nella nostra mente, è questo che la rende coinvolgente. L’opera d’arte deve sempre lasciare un varco aperto e lasciarsi completare dallo sguardo di chi l’osserva”.

©Luciano Romano. Scala#1931 Venezia Sant’Elena

“Luciano Romano accetta e cerca il rischio della bellezza e della metafora, dentro un’infinita spirale che non sai – e non vuoi sapere – se sta salendo o precipitando.” (Walter Guadagnini)

©Luciano Romano. Scala#1934. Palermo Posta Centrale. Architetto Angiolo Mazzoni
©Luciano Romano. Scala#1927. Paris 5 7887
©Luciano Romano
Scala#1882
Barcelona, 2014
Templo Expiatorio de la Sagrada Familia. Architetto. Antoni Gaudí
©Luciano Romano
Scala#1693. Santiago de Compostela 2014. Architetto Domingo de Andrade

Soglie è l’altro lavoro di Luciano Romano a prendere spunto da un tema architettonico, salvo rivelarsi una riflessione sulla percezione dello spazio trasformato dai nostri meccanismi neuropercettivi. Anche queste immagini portano dal buio della pietra alla luminosità assoluta dove nulla è più visibile, dove l’eccesso di luce tende a cancellare ogni traccia di informazione, dove l’immaginazione (o la fede) collocano valori spirituali e intangibili che ci prefiggiamo di raggiungere nel corso dell’esistenza. L’ossessione per la matrice geometrica, che tenta di definire e catalogare la materia costruita, si proietta nello spazio e nel tempo, dove si realizza la connessione tra il luogo e la storia, il passaggio tra il conoscibile e il non rivelato. La soglia come luogo di transito e transizione, il tramite sottile tra due dimensioni ed il passaggio verso nuove esperienze. Soglie del divenire, veicolo o strumento del pensiero, quella zona liminale e non percepita dagli occhi ma ben chiara nella mente che conduce alle possibili connessioni tra diversi livelli di energia e conoscenza. Lo spazio vuoto e indescrivibile tra due dimensioni che si consuma nel momento di passaggio da un’esperienza all’altra”. (Adriana Rispoli)


©Luciano Romano. Scala#1912. Praga 2017


©Luciano Romano.
Scala#2016. Milano. Architetto Herzog & DeMeuron


©Luciano Romano
Scala#1999. Duisburg, 2017. Architetto Herzog & De Meuron

Molti dei tuoi soggetti sono di ispirazione architettonica, materia che sappiamo essere stata oggetto dei tuoi studi, che valore attribuisci alla rappresentazione dello spazio?

L’architettura può essere letta come la perfetta metafora dell’azione umana: trasformare la natura e costruire il mondo a propria immagine, sfidare la legge di gravità partendo dalla pesantezza e dall’opacità della materia per mirare alla luminosità del cielo. Lo stesso avviene in molte delle mie immagini, immerse in un’atmosfera che le fa apparire come sospese nel tempo e nello spazio, sempre agganciate alla realtà visibile ma allo stesso tempo tendenti a qualcosa di ideale, trascendente ed assoluto. Nelle mie intenzioni queste immagini vanno oltre le architetture che raffigurano con impeccabile precisione, tendono a qualcosa di ideale, trascendente ed assoluto. In queste fotografie è l’immaginazione dell’autore a trasformare il luogo fisico in una visione mentale, e simmetricamente a rendere l’immagine ideale visibile all’osservatore. L’arco o la finestra che fungono da boccascena, il senso di spazio infinito suggerito da un cannocchiale prospettico, gli archi e le colonne che si susseguono, la luce abbagliante che traspare sullo sfondo, sono componenti di questa narrazione. Tutto questo avviene rimanendo fedele all’oggettività del processo fotografico, mai contaminato da alterazioni in postproduzione, in attesa che si compia nel modo più sottile e insinuante quel processo di trasfigurazione latente in ogni rappresentazione, in grado far aderire la percezione del vero al proprio mondo interiore. Nella rappresentazione di un luogo cerco sempre un’ideale zona di confine, di transizione. Le scale, ad esempio, sono la soglia del divenire, dell’ascesa, del progresso; costruzioni nate per il collegamento funzionale tra i diversi piani diventano il tramite simbolico tra i diversi livelli della coscienza, il passaggio tra la materia e l’anima reso evidente dal conflittuale alternarsi di luce e ombra. Nelle mie fotografie gli spazi fisici alludono sempre a stati d’animo.

Le tue opere si caratterizzano spesso per la presenza di matrici geometriche ben definite. Cosa ti spinge a ricorrere a questi segni?

Il ricorso alla geometria rivela il desiderio di stabilire un elemento di certezza nell’entropia del mondo sensibile. Le architetture si avvalgono sempre della composizione di forme geometriche più o meno complesse, ma anche in natura è possibile rintracciare perfette geometrie. Ho adottato questo metodo a partire dal ciclo Onde (1999-2002) che fu esposto alla Certosa di San Giacomo a Capri venti anni fa, all’inizio del mio percorso di ricerca. In questo progetto il mio lavoro indagava attraverso schemi e sequenze compositive il flusso dinamico che anima la natura; da quel momento i segni e la geometria vengono da me sfruttati come un detonatore per stimolare la percezione; prendiamo ad esempio la spirale presente in molte delle mie scale: il suo potere attrattivo risiede nell’essere una forma ricorrente in natura, a tutti i livelli, dalle volute di una piccola conchiglia al deflusso dell’acqua in un gorgo, fino alla disposizione della materia cosmica nella galassia. È una forma assoluta, che trova fondamento nelle leggi della fisica. Questa figura geometrica è sempre coinvolgente e intimamente legata ai nostri meccanismi percettivi al punto da diventare una visione ipnotica.


©Luciano Romano Scala#1591. Venezia Accademia.ArchitettoAndrea Palladio, 1615


©Luciano Romano
Scala#1927. Paris 2015
Mallet-Stevens


©Luciano Romano.
Scala#1911. Napoli 2017
Palazzo Mannajuolo
Giulio Ulisse Arata

La fotografia ha da sempre stabilito un rapporto ambiguo con la realtà, come definiresti Il tuo atteggiamento nei confronti di ciò che ti circonda e cosa ti interessa cogliere?

La mia fotografia, anche se apparentemente fedele al soggetto che ritrae, intende fissare un pensiero, un’immagine ideale, svincolata dalla contingenza della realtà visibile. L’immagine che ci rimane impressa è sempre lo specchio di qualcosa già posseduto nella nostra mente, è come un’eco che risuona, qualcosa che mette in gioco l’archivio della nostra memoria, è questo che la rende riconoscibile; oggi diremmo che è come una parola chiave che innesca il nostro personale motore di ricerca. È come se i nostri processi cognitivi percepissero un frammento della realtà e lo classificassero attraverso un espediente di riconoscimento: nell’immagine vediamo distintamente gli elementi costruttivi degli edifici, le crepe dell’intonaco, i marmi, le balaustre, ma la mente ci fa vedere ancor prima una forma iconica, un occhio, una conchiglia, un vortice o una galassia. In altri casi l’attenzione è guidata da una sorta di intuizione: un esempio è The Big Apple, uno scatto eseguito nel 2010 all’interno dell’Apple Store a New York, entrata nella collezione del Museo Madre; era il periodo del lancio del primo iPad e noi sappiamo solo ora, soprattutto dopo il lockdown, come questa dipendenza da schermo portatile avrebbe rivoluzionato le relazioni umane. Le linee algide delle superfici del vetro e dell’acciaio contrastano con l’entropia delle figure che si avvertono oltre la superficie traslucida: osservando la posizione dei piedi è possibile intuire l’infinita gamma di personalità e atteggiamenti che contraddistingue questo campione di umanità come se fosse disposto sul vetrino di un grande microscopio, come se fosse stato possibile prevedere già allora quella che sarebbe stata una vera e propria mutazione genetica del nostro comportamento.

Il teatro è all’origine del tuo lavoro fotografico; che influenza ha esercitato quest’esperienza nell’elaborazione del tuo stile?

L’esperienza vissuta in teatro è alla base della mia ricerca: m’interessa indagare il rapporto esistente tra la fotografia d’autore e il linguaggio teatrale, ovvero mostrare come la fotografia contemporanea tenda sempre più a mettere in scena il soggetto rappresentato anziché limitarsi a documentarne una possibile condizione oggettiva. La coesistenza o l’alternativa di verità e finzione nell’immagine fotografica mette in crisi un medium storicamente considerato descrittivo e documentale. L’osservatore di un’immagine assomiglia sempre più allo spettatore che per tutta la durata di un film stabilisce un patto non dichiarato con il regista per lasciarsi coinvolgere da ciò che vede.


©Luciano Romano Soglie. Rotonda Foschini 100X80


© Luciano Romano. Soglie. Piscina mirabilis 6558308


©Luciano Romano. Soglie. Castel del Monte 2777

Il teatro, che è alle origini del tuo lavoro, ritorna in particolare nei tuoi lavori installativi, come quelli realizzati per la Metropolitana dell’Arte di Napoli

A partire dal 2008, e in particolare nelle mie installazioni pubbliche, sono protagonisti i volti e i corpi di attori, cantanti, danzatori; per queste, che sono in tutto e per tutto immagini messe in scena, lavoro come un regista e preferisco avere davanti a me persone abituate a gestire l’espressione del viso e i movimenti del corpo, anche se è escluso che li costringa a una posa vera e propria, preferendo sempre cogliere lo scatto durante un’azione dinamica. Come è stato nel caso dell’installazione permanente Song ‘e mare nata per la stazione della Metropolitana di Scampia: quattordici ritratti a figura intera di musicisti napoletani di diverse generazioni, ripresi in inverno sulle spiagge del litorale. Un’azione performativa illuminata con intento teatrale, un conflitto tra il sole che rimbalza in controluce sulla superficie dell’acqua e la luce artificiale proiettata sui personaggi. La linea dell’orizzonte è uguale per tutti, come l’atteggiamento del corpo, un passo in avanti che cita l’iconico ritratto nella fotografia-manifesto, La Rivoluzione siamo noi scattata a Villa Orlandi ad Anacapri, nel quale Joseph Beuys indaga il senso dell’arte in relazione alla sua fruizione sociale e sembra suggerire a chi lo guarda di unirsi a lui.

Quali sono i tuoi ultimi progetti artistici?

Dopo aver esplorato la Natura e l’Architettura, l’ultimo progetto Ex Novo si riferisce all’Arte stessa, ricercando gli indizi visivi che innescano il processo della creazione. Stiamo vivendo un momento difficile, tra epidemie, conflitti, esodi, violenze che fanno pensare a un ricorso della Storia, al Seicento, al Secolo di Furore che vide nascere le creazioni del Pio Monte della Misericordia. Ex Novo mette in luce i sentimenti di empatia e compassione nei confronti delle persone fragili e vulnerabili. Sono sei immagini che da aprile a settembre del 2022 hanno fatto ala intorno al capolavoro di Caravaggio, le Sette opere di Misericordia; liberamente ispirate a dettagli della grande pittura barocca, ispirandosi in particolare alle rivoluzionarie composizioni introdotte dai grandi artisti dell’epoca, interpretano la missione etica e solidale del Pio Monte secondo le logiche e le urgenze del nostro tempo. Con questo lavoro non intendo definire, ma suggerire una possibile interpretazione da parte dello spettatore, lasciando intenzionalmente un varco aperto. Ancora una volta, immagini che vogliono farsi completare dallo sguardo di chi le osserva.


©Luciano Romano. Soglie. Piscine Romane. Fermo


©Luciano Romano. Soglie. Tempio di Mercurio, Terme di Baia


© Luciano Romano, Soglie. Tempio di Venere, Terme di Baia .


©Luciano Romano. Soglie. Walt Disney Hall. Los Angeles

©Luciano Romano. Basel Messeplatz. 2017
©Luciano Romano. Soglie_Slot. Los Angeles. Disney Hall_

Bio

Luciano Romano svolge un costante lavoro di ricerca intorno al linguaggio della fotografia. L’esperienza teatrale e gli studi alla Facoltà di Architettura lo portano ben presto a sviluppare uno stile personale che tende a mettere in scena il soggetto rappresentato anziché limitarsi a documentarne una possibile condizione oggettiva. Affermatosi in ambito editoriale, a partire dagli anni ‘90 è tra le principali firme dell’editore Franco Maria Ricci ed è autore di numerosi volumi pubblicati da Taschen, Skira, Rizzoli, Citadelles&Mazenod, Electa, Treccani. I suoi lavori incentrati sulla rappresentazione dello spazio sono conservati in numerose raccolte pubbliche e private, quali il Museo MAXXI a Roma, la Robert Rauschenberg Foundation e il Watermill Center a New York, il Museo MADRE a Napoli, Fondazione Banco di Napoli, Fondazione Garrone, Genova, ICCD Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, Roma, Memus, Museo e Archivio Storico del Teatro di San Carlo. 

©Luciano Romano. Soglie. Comacchio 3

Luciano Romano ha ricevuto negli anni diversi incarichi dal Ministero dei Beni Culturali, partecipando a Unesco Italia, ciclo di mostre incentrate sui siti italiani appartenenti alla World Heritage List dell’Unesco, esposto nelle principali capitali mondiali, e per Cantiere d’Autore sulla costruzione del museo MAXXI, nonché per alcune importanti campagne fotografiche sulla valorizzazione del patrimonio culturale italiano.

Nel 2003 è tra gli assegnatari del Premio Atlante Italiano 003, conferito dal Ministero dei Beni Culturali in collaborazione con la Triennale di Milano. Ha esposto alla X Biennale Architettura di Venezia (Workscape, 2006).

Nel 2007 ottiene la prestigiosa nomination al Prix BMW-Paris Photo (Parigi, Carrousel du Louvre). In questi anni ha inizio la collaborazione con i registi Robert Wilson e Peter Greenaway, autore dell’installazione Italy of the Cities basata sulle sue immagini, presentata nel 2010 all’Expo Universale di Shanghai e all’Armory di New York.

 Nel 2011 espone alla rassegna Fotografia Europea 011 di Reggio Emilia nell’ambito della mostra Vedute d’ Italia.

Del 2012 la personale allo Studio Trisorio Lo Sguardo Obliquo, ciclo a cui l’autore lavorava dal 2010 “…Romano accetta e cerca il rischio della bellezza e della metafora, dentro un’infinita spirale che non sai – e non vuoi sapere – se sta salendo o precipitando.” (Walter Guadagnini, 2012).

Nel 2013 viene inaugurata l’installazione permanente per la stazione Toledo-Montecalvario della Metropolitana dell’Arte di Napoli, un progetto di Shirin Neshat basato su nove ritratti a grandezza naturale scattati da Romano. L’installazione è stata ricreata in occasione della Photobiennale 2014 di Mosca a cura di Olga Sviblova.

Nel 2015 ha esposto nella mostra Sconfinamenti #3 a cura di Achille Bonito Oliva al 58° Festival dei Due Mondi di
Spoleto.

©Luciano Romano. Barcelona, Mandarin Oriental. Architects: Carlos Ferrater y Juan Trias de Bes

Nel 2017, nell’ambito della mostra Robert Rauschenberg, una sua storica immagine di una scenografia dell’artista americano ambientata al Teatro di San Carlo è esposta alla Tate Modern di Londra e al Moma a New York.

Nel 2018 torna a collaborare con Shirin Neshat: a ottobre viene presentato alla National Portrait Gallery di Londra il ritratto del premio Nobel Malala Yousafzai commissionato per la collezione permanente all’artista americana di origine iraniana e realizzato con interventi calligrafici dell’artista sulle immagini fotografiche da lui eseguite.

A dicembre 2019, su incarico della Fondazione Plart, nella stazione della Metropolitana di Napoli a Scampia, realizza l’installazione permanente Song ‘e mare: “Quattordici fotografie di musicisti e cantanti napoletani a figura intera, posti lungo la linea dell’orizzonte, fra mare e cielo, mentre fanno un passo avanti in una costante dinamica tra scena e retroscena, luce e ombra, colto e popolare, ricordo e intuizione.” (Andrea Viliani, 2019). Quattro dei suoi progetti sono stati selezionati per gli Hasselblad Masters 2014, 2016, 2018, 2021.

Nel 2022 la sua mostra Ex Novo nella chiesa del Pio Monte della Misericordia a Napoli sperimenta un dialogo tra la fotografia contemporanea, la grande pittura barocca e le Sette Opere di Misericordia di Caravaggio. Luciano Romano è docente e coordinatore artistico dei corsi di fotografia all’Accademia del Teatro alla
Scala di Milano.

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