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In vetta ad Arequipa, tra canyon, vulcani e panorami

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In vetta ad Arequipa, tra canyon, vulcani e panorami

di Francesca Spanò | @francynefertiti

La chiamano “la città bianca”, Arequipa, e sorge a ben 2300 metri di altitudine. Questo angolo di Perù, si trova ai piedi del dormiente vulcano El Misti e diverse volte è stato distrutto dai terremoti e ricostruito. Oggi, a ricordo del suo passato, spiccano ancora i meravigliosi monumenti coloniali in una regione ricca di canyon.

Arequipa, dal passato al presente

Uno degli eventi sismici più potenti della zona si registrò tra il 1600 e il 1687 e, da allora, gli abitanti hanno cominciato a costruire edifici bassi e con mura spesse. Quasi sempre erano in sillar, una roccia bianca e porosa di origine vulcanica che si osserva in grandi quantità nei dintorni. Nel periodo inca, quella di Arequipa era una tappa importante sul cammino da Cusco alla costa. Arrivarono poi gli spagnoli e la città fu rifondata nel 1540 come desiderato dal conquistador Francesco Pizzarro. Doveva rappresentare una roccaforte nella regione e fu chiamata Nuestra Senora de la Asuncion del Valle Hermoso, Nostra Signora dell’Assunzione della Bella Valle. La cattedrale risale al 1612 e fu costruita tra il 1845 e il 1868. Altra chiese dell’epoca da ricordare sono San Francisco, San Agustin, la chiesa gesuita della Compania con la facciata barocca e immagini di santi, animali degli altopiani e simboli cattolici e mitologici. Ancora, da non dimenticare è il Monasteiro de Santa Catalina, dove lo stile moresco contamina le architetture medievali.

Tra canyon e bellezza

Chi si trova in questo angolo di Perù non può non raggiungere il Canon del Colca, a 160 km da Arequipa. Lungo 100 km, è particolarmente profondo con i suoi 3354 metri e il fondo del canyon ha un altro clima, quasi tropicale. Nella Valle del Colca, prima degli Incas, si contendevano la supremazia i Cabanas, di lingua quechua che coltivavano mais nella bassa Valle del Colca e i Collaguas, di lingua aymara che allevavano alpaca nella zona alta. La loro abitudine bizzarra era quella di deformare la testa dei bambini: i primi applicavano delle tavole di legno per rendere la parte posteriore del capo piatta e i secondi lo fasciavano per ottenere una forma allungata. Per questo i copricapi dei primi sono morbidi e colorati e i secondi utilizzano ancora un cappello bianco.

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