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Modena a tavola nei giorni di festa: una tradizione che non passa di moda

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Modena a tavola nei giorni di festa: una tradizione che non passa di moda

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di Devis Bellucci | @devisbellucci
Qualche tempo fa la prestigiosa rivista Forbes ha incoronato la cucina emiliana quale migliore al mondo. Tra le sue tante declinazioni, a Modena ha raggiunto i vertici della celebrità grazie allo chef Massimo Bottura, ideatore di veri prodigi culinari che raccontano e rivisitano le eccellenze del territorio. Parliamo dell’aceto balsamico tradizionale, di sua maestà il Parmigiano Reggiano e, a seguire, la sterminata produzione di salumi, i vini nella valle del Lambrusco e i funghi delle montagne. Un paradiso gastronomico che si autocelebra con due simpatici monumenti: la statua bronzea del maialino, a Castelnuovo Rangone, e la grande Goccia d’aceto, che il Comune di Spilamberto dedica al balsamico. Tuttavia, il principe della tradizione è sempre lui: il tortellino.

In brodo o alla panna

Durante la mia infanzia, i lunghi pomeriggi domenicali nel mese di novembre erano segnati da un rito: la mamma e la nonna preparavano i tortellini, guardando la televisione. Le feste, a Modena, sono un cosa seria e i tortellini vanno via a chili, quindi il congelatore deve essere ben rifornito. Quando arriva il gran giorno, dopo un antipastino a base di croccanti ciccioli frolli (sono fatti col grasso del maiale, dunque molto leggeri), frittata con le cipolle e aceto balsamico, magari un tagliere di mortadella e salame, ecco i tortellini che illuminano la tavola. Per i puristi, solo in brodo di carne, minimo due piatti e che il brodo abbia gli occhi, cioè che sia ben sostanzioso. Concessa ai bambini la variante con la panna, da cuocersi lentamente con l’aggiunta di sale e pepe. L’ideale è gustarne due porzioni: prima in brodo, poi con la panna. Leggenda narra che il piatto servito dallo chef Bottura ne contenga solo cinque o sette di tortellini. Ma il sapore sarebbe indimenticabile. Se a Natale i tortellini sono obbligatori, per Santo Stefano si tuffano nel brodo i passatelli o l’ormai più rara – ahimè – zuppa imperiale: cubetti di semolino, Parmigiano e uova. Ma c’è posto anche per i maccheroni al pettine con il ragù di galletto, lasagne e tagliatelle ai funghi porcini di Sestola.

Il secondo: bollito o non bollito

È difficile preparare a casa il Bollito non Bollito, uno dei piatti più celebri di Bottura, dove la carne viene cotta a bassa temperatura e sotto vuoto per molte ore. Ci accontentiamo quindi del bollito tradizionale alla modenese, un ventaglio di carni che comprende la lingua di manzo, la gallina e il cotechino, serviti con due salse obbligatorie: quella verde, cruda e a base di prezzemolo, capperi e acciughe, e quella rossa, cotta e con verdure miste. Alla tavola di alcune famiglie, per i commensali più arditi ci saranno anche – sempre bollite – le zampe e la cresta di gallina. E poi, lo zampone con fagioli in umido. La versione con le lenticchie è più rara; come si dice a Modena: è d’importazione. I secondi piatti non bolliti prevedono l’arrosto con le patate di Montese o l’intramontabile filetto di manzo all’aceto balsamico. Se in tavola c’è dell’insalata verde, di solito non la tocca nessuno.

I dolci e i liquori: torta Barozzi e Nocino

Il dolce povero per eccellenza è il Bensone, fatto con farina, uova, burro, latte e zucchero. Ottimo per la colazione o di sera, con un bicchiere di Lambrusco, ma il giorno di Natale lo mettiamo da parte per la cioccolatosa torta Barozzi, eccellenza di Vignola dalla ricetta top secret. La torta può essere servita da sola o accompagnata da un’emulsione di mascarpone, uova e zucchero. Tradizionali anche il salame di cioccolato, la crema di ricotta con gli amaretti e le pesche all’alchermes. Non è stagione di pesche? Non importa, perché tanto nelle pesche all’alchermes le pesche non ci vanno. Infine, l’immancabile zuppa inglese.

Chi ama chiudere col liquore, beve quello alla liquirizia o il Nocino. E qui non si scherza. Ogni appassionato ha la propria ricetta, esiste l’Ordine del Nocino che custodisce i segreti dal vér Nusèn tradizionèl ed Mòdna (il vero nocino tradizionale di Modena) e ogni anno si disputa anche il Palio per eleggere il migliore. Poi resta il condimento di tutto: il dialetto. Perché non esiste tavola festiva in cui non si parli l’incomprensibile dialetto modenese, che tanti assimilano al francese. C’è chi assicura di aver ordinato al ristorante a Parigi parlando dialetto, e di essere stato regolarmente servito. Ma forse il cameriere era originario di Ravarino, o giù di lì.

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