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Marocco: tra le mura di Marrakech, nella città color ocra

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Marocco: tra le mura di Marrakech, nella città color ocra

di Francesca Spanò | @francynefertiti

Un palcoscenico a cielo aperto dove suoni, luci, colori e tradizioni sono in grado di rubare la scena alle altre grandi città del Marocco. Marrakech viene spesso scambiata per la capitale, per il centro politico e per quello spirituale, ma pur non essendo nulla di tutto questo è sempre protagonista più di Rabat, Casablanca e Fès.

In bilico perenne tra presente e passato, resta la città imperiale più amata e visitata del Paese dove si può davvero viaggiare nel tempo. Racchiusa nelle sue mura color ocra, ci si può ritrovare ai tempi dei re berberi e delle dinastie arabe o inebriati dell’atmosfera magica della medina, con la sua intricata rete di vie piene di botteghe. Si respira la storia anche qui, dove dal Medioevo, si spostano in continuazione artigiani e mercanti nei suk dei tintori, delle spezie, dei tappeti e dei ramai.

Un mondo da mille e una notte

Tutta la meraviglia locale gira attorno alla piazza Djemaa el-Fna, dove convergono in tanti tra incantatori di serpenti, mangiafuoco, tatuatori, fachiri e venditori e un tempo c’erano anche i cantastorie, oggi sostituiti dai musicisti berberi. Una bellezza visibile a chiunque che è stata inserita tra quella ricchezza culturale intangibile dell’Unesco. Il suo passato è legato intanto alla  posizione strategica ai piedi delle montagne sulla via commerciale tra l’Africa subsahariana e la rotta marittima verso l’Europa. Fu poi dominata a lungo dai berberi, la popolazione indigena del Marocco presente ben prima degli arabi.

Indietro nei secoli, in un angolo affascinante del Marocco

Marra Kouch fu fondata nel 1062 come semplice avamposto militare dagli stessi berberi della dinastia degli Almoravidi che riconobbero il potenziale del luogo, tra il deserto e l’Atlantico. Da qui fu facile conquistare anche il resto del Marocco e al-andalous, la Spagna musulmana. Di questo grande regno Marrakech divenne la capitale. Bellissima da vedere, comprendeva i bastioni e una grande moschea che riprendeva l’arte moresca importata dalla Spagna e un sistema sotterraneo di tubature che convogliavano l’acqua in piscine, fontane e giardini. Nel 1147 fu conquistata dagli Almohadi, un’altra tribù berbera delle montagne dell’Alto Atlante. I precedenti edifici religiosi furono distrutti quasi tutti fino all’arrivo dei Merindi, quando Marrakech conobbe un periodo di declino. Il centro del potere era ora Fès. A metà del XVI secolo fu il momento dei Sa’diani che si fregiavano di essere i diretti discendenti di Maometto. La città tornò al suo splendore imperiale e venne arricchita di capolavori come la medersa Ben Youssef, il mausoleo oggi conosciuto come tombe Sa’diane,  il palazzo El Badi costruito in 25 anni e il quartiere ebraico mellab. Il cortile della medersa di Ben Youssef è in stile ispano moresco con pareti rivestite di zellige, mosaici di piastrelle. Era una delle scuole dove si approfondiva la conoscenza del Corano e qui venivano ospitati 900 allievi.

Sotto la conquista degli Alawiti perse il suo status di capitale, che prese Meknès. Dopo diverse tormentate vicende, a inizio Novecento il Marocco divenne un protettorato francese fino al 1956.

Il centro dello spettacolo resta comunque Piazza Jemaa el-Fna che non vanta un particolare spazio architettonico ma è un continuo brulicare di gente e attività diverse. Il nome significa probabilmente “assemblea dei morti” ed è legato al fatto che qui, dall’anno Mille circa, si eseguivano le esecuzioni capitali e poi venivano esposte le teste dei giustiziati. Potrebbe anche voler dire “la Moschea svanita”, perché un tempo vi si trovava una moschea costruita da un sultano berbero tra l’XI e il XII secolo. Dalla sua distruzione è rimasta la grande piazza. Particolari qui sono anche i venditori dell’acqua, che annunciano la loro presenza facendo tintinnare campane di rame. Sono vestiti con abiti variopinti e indossano grandi cappelli di paglia ornati con fiocchi multicolori. A tracolla, invece, hanno l’otre di pelle di capra pieno di acqua per dissetare i passanti. Le scodelle di ottone sono solo per i musulmani, quelle di metallo bianco per tutti gli altri. Fuori dalla medina, infine, la città cambia faccia e diventa un trionfo di Ville Nouvelle, che ricordano il periodo del protettorato francese. Da non perdere la villa-studio di Majoirelle oggi sede del Museo di Arti islamiche che ospita la collezione di Saint Laurent di arti decorative e le litografie di Majorelle raffiguranti paesaggi del Marocco meridionale.

Foto Giovanni Tagini

© TravelGlobe RIPRODUZIONE RISERVATA

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