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In Canton Ticino, a casa di Hermann Hesse

DatA

In Canton Ticino, a casa di Hermann Hesse

di Raffaele Alessi

E presto di te e di me nessuno

nulla saprà né avrà da raccontare,

qui verrà altra gente ad abitare…

No, Signor Hesse, non è così. Qui a Montagnola, piccola frazione del Canton Ticino sopra Lugano, più di 15.000 persone all’anno vengono a trovarla nel Museo che le hanno dedicato, nei locali della Torre a pochi metri dal vecchio giardino di Casa Camuzzi, dove lei è stato per oltre 12 anni,

Forse non è più il Ticino fiabesco che lei vedeva dal finestrino del treno verso l’Italia, nelle prime estati del novecento, che le metteva la voglia di cantare “sommessamente vecchie canzoni  popolari italiane”, appena passate le Alpi. Con quella  lingua più musicale e Il sole che scalda e profuma l’uva. Ci sono ancora campi di ginestra in fiore, di quel colore giallo intenso che oggi rimane anche nel nome di del comune di Collina d’oro, che abbraccia le frazioni di Agra, Gentilino, Carabietta e Montagnola.

Oggi questa terra è cara anche a metro quadro e qualcuno si è comprato per sè quelle vedute stupende e si è messo in tasca pezzi di paesaggio che possiamo rivedere solo nei suoi  acquerelli, come la vista dalla terrazza e il  giardino “… immerso nell’ombra, un groviglio di fitte cime d’alberi, palme, cedri, castagni, ..e tra il fogliame giganteschi fiori, bianchi come la neve, dischiusi a metà, grandi come teste umane, pallidi come luna e avorio, dai quali si effondeva penetrante ed alato un acuto profumo di limone.”

A noi rimane solo la possibilità di avvicinare il naso al portone chiuso e immaginarlo laggiù, oltre le imponenti scale. Più avanti sulla stradina, proviamo invece a guardare in su, sotto le finestre, ma le mura e la vegetazione nascondono ogni vista; anche la casa è quasi interamente nascosta, “dal fondovalle la si vede spuntare dal profilo silenzioso dei boschi con le sue torrette e i frontoni a gradinate…”.

È arrivato qui quasi fuggendo, dalla moglie ricoverata in clinica e i figli affidati alle cure di amici. Con la testa che fa male dietro agli occhi e i rumori di una guerra che spezza la vita. Chi abbandona la sua casa cerca qualcosa che non ha e che non vede. Quella vista poteva guarirla, la luce del paesaggio e una scatola di colori, Così decise di fare di quei locali in cima a Montagnola, il castello del pittore  Klingsor . Dalle sue finestre spalancate visse la sua estate per riprendersi l’energia e le passioni: “Fu come una grazia venuta dal cielo, un’estate come raramente ne ho vissute, di una forza, di un calore, di una seduzione e di una luminosità che mi strapazzavano…

Lei ha amato questa casa più di tutte, l’ha disegnata e dipinta molte volte, con lo sguardo verso l’orizzonte sul lago e spiata tra i castagni sulle colline intorno.  “A quarant’anni incominciai improvvisamente a dipingere. Non che mi ritenessi un pittore o volessi diventarlo, ma il dipingere è meraviglioso, rende più allegri e più pazienti. Dopo non si hanno le dita nere come quando si scrive, ma rosse e blu”.

Montagnola

Montagnola e il Canton Ticino rappresentavano per lei il Sud e il Mediterraneo caldo verso cui amava viaggiare, come l’Italia dietro a Gandria, villaggio di pescatori con i giardini di edera e dietro il Monte dei Pizzoni che ritraeva nei colori degli acquerelli “…colori lontani e vitrei dei monti a sera, lievi come un alito eppure lucenti come gemme”,

La Germania in guerra e la famiglia perduta. Alle spalle il buio, per non uccidere il futuro. Verso la luce  e una nuova terra, una patria dell’anima. Nessun luogo è senza un Genio. Le colline soprattutto che hanno forma di animali dormienti e draghi carichi di energia. La teoria cinese del Feng shui, che letteralmente significa “vento e acqua”, dice che gli elementi che plasmano il paesaggio possono influire sullo stato di salute dell’uomo che lo abita. Erano in parte i principi che ispiravano anche il movimento del Monte Verità, che realizzarono nei dintorni di Ascona un villaggio di capanne “luce e aria»  (ben arieggiate, soleggiate e aperte verso sud), convinti di poter  ricercare la verità attraverso una vita più vicina alla natura. Con loro, precursori della filosofia new age e hippy ante litteram, anche lei sperimentò l’eremitaggio, nudo nelle capanne di legno, in cerca di un contatto fisico e di un equilibrio interiore.

Ma poi, presto rimpianse il bicchiere di fresco vino di Mosella e scivolò ancora nell’abbandono e nell’oblio, alla ricerca di nuove gioie. Riprese a camminare in questi paesi, nei sentieri fino ai grotti tra i castagni, nelle chiesette  nascoste nel loro “magico silenzio e nel “timido sottrarsi al rumore e alla folla”.

La vedo che passeggia ancora su queste vie strette di pietra e si incammina verso i prati con il taccuino, la matita e gli occhi azzurri che “cercano di trattenere con gli acquerelli qualcosa di quel fascino fluttuante”. Chissà se è la natura rigogliosa ad aprirli con  la sua bellezza o sono loro a immaginare il profilo dei monti e a trovare questi colori che vibrano di luce, nei giorni di estate. Se è la matita a seguire quelle linee all’orizzonte oppure è la mente del poeta a  mostracene i contorni. E come può in quegli occhi, starci dentro anche l’incantatore di  storie magiche e racconti che attraversano gli anni e raggiungono i nostri cuori ancora.

Come è potuto accadere? Com’è riuscito a comporre in quel meraviglioso canto le ansie e le sofferenze della sua anima  e la violenza del suo tempo? Lei che è nato nella Foresta nera di Calw, in un ambiente severo e oppressivo. Con una rabbiosa intemperanza e la voglia di magia; espulso anche  dal seminario per le cattive influenze sui compagni. Addirittura un tentato suicidio a soli quattordici anni e il ricovero in clinica. Quel disagio mentale che diventa una “vita angosciata e tremante”, con la prima guerra cui vorrebbe arruolarsi, ma ne viene scartato  per motivi di salute e quella malattia che altalena abbandono doloroso nel corpo e nel contempo percepisce la vertigine della ricerca spirituale.  Ancora ricoveri, persino terapie di elettroshock e le sedute di psicoanalisi con Gustav Jung.

Lei voleva diventare Siddhartha, incantatore del mondo, poeta e nient’altro.

C’erano pensieri d’Oriente anche nella sua infanzia. La biblioteca del nonno materno, il dio indiano danzante nella sua vetrina la rapiscono in  quel mondo variegato “anche nella sua pelle, nella sua attrattiva, nella sua musicalità“, C’è un magico incantamento che la cultura orientale e indiana producono in lei, fino a trascinarla nel fiume dell’unità “che si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, al mare e in montagna“.

Uomo giovane che sente la pulsione del mondo, ma anche quella di fuggire, come lupo ai margini del bosco. Lei viaggerà come un vagabondo per curare quelle pulsioni contrastanti, come Harry Haller, anche lui isolato, a disagio nel mondo che non accetta, in una società che cambia nei valori di riferimento, che va incontro alla guerra.

Solo nei boschi e nei campi di Montagnola, il suo spirito si è accordato ai colori del paesaggio. Scopre un piacere nuovissimo e comincia a dipingere. L’acqua sulla tavolozza ha temperato le tensioni della sua anima con gli elementi naturali è ha reso la realtà più intensa e gioiosa, come i blu e i rossi nei suoi acquerelli. Ma sarà solo l’amore vero di Ninon, che lei porterà come sposa nella casa Rossa di Montagnola, a guarirla.

Dopo aver lasciato la prima moglie Mia, pianista e fotografa, che “preferiva starsene, con fiori e musica, e magari un libro, chiusa in un singolare silenzio” con cui tutto era finito con il  grave peggioramento del suo stato di saluto e il ricovero in clinica. E senza più attrazioni dopo soli tre anni per la giovane cantante Ruth, che deve sposare per le insistenze del suocero,

Anche l’amore ha bisogno di una casa e di cura per crescere e diventare da una metà un tutto. “In ogni forma era intero, era una coppia, aveva in sé luna e sole, uomo e donna, scorreva come un fiume gemello per le terre, stava come stella doppia in cielo”

La casa rossa

Lei aveva sentimenti contrastanti circa il trasferimento da casa Camuzzi; le dispiaceva lasciare il suo giardino magico a Montagnola. Fu il gesto generoso di un amico mecenate di Zurigo a convincerla: avrebbe finanziato i progetti di una nuova casa e la nuova moglie, Ninon  Ausländer, avrebbe preso cura di tutti i lavori e dei dettagli di arredo. La casa sarebbe sorta in cima alla collina, isolata dal paese, avrebbe avuto un ampio giardino e due abitazioni indipendenti per garantire a lei tutta l’autonomia necessaria.

Nella Casa Rossa, che era “la nostra isola, il nostro paese“, lei ritrovò la serenità e riprese con più frequenza il rapporto con gli amici e i figli. Merito anche di suo padre, cittadino russo d’origine baltica  che riuscì a farle riconoscere la cittadinanza tedesca, dopo quella svizzera e a fare di lei un cittadino del mondo, nonostante i suoi tratti di lupo, chiuso come un riccio tra i castagneti di Montagnola. In quegli anni di guerra accoglieva gli emigrati tedeschi in esilio, come Thomas Mann e Bertolt Brecht e con sua moglie aiutava molti profughi ed ebrei perseguitati. Oggi, in tempi di pace, noi qui abbiamo paura che disperati attraversino confini e mari che crediamo nostri. Abbassiamo lo sguardo e immaginiamo solo muri.

Nei lavori di giardinaggio lei si prende cura dei fori e della sua anima. Nelle ore nell’orto, le mani setacciano terra umida e cenere tiepida con un ritmo uguale a “un quartetto di Mozart per oboe” e i pensieri trovano ispirazione nel gioco delle perle di vetro che “trasforma le foglie in un fiorir di rose”. Il respiro delle piante è lento e ha bisogno di acqua e di luce per crescere; nessuna velocità ne ansia. Una terra tiepida per il seme e una cura costante, che protegge contro il vento e la grandine.

Vicino alla casa rossa c’è ancora un muro di cinta in pietra naturale che lei chiamava  la “muraglia cinese”. Dentro c’era un parco magnifico, oggi sostituiti da una villa e un complesso condominiale. Ma se si prosegue lungo la collina la vista si apre sul lago e a sinistra ritorna il bosco fitto. La vedo inoltrarsi lungo il sentiero e arrampicarsi su per i gradini sconnessi del suo crotto, con i tetti i muri addossati al pendio. Lì c’è una “panchina di pietra sotto le fronde del lauroceraso”; le servono “una ciotola di terracotta colma di vino rosso, il pane e il formaggio di capra…”. Le è seduto accanto il suo “vicino Mario”, che coltiva il fazzoletto di terra del padre e ha ricavato in un pezzo di bosco un vigneto e un piccolo angolo fresco vicino al fiume.

Tra gli artisti che venivano a trovarla nella sua residenza a Montagnola c’era anche lo scrittore e pittore Peter Weiss, che saliva da Carabietta per passare meravigliosi pomeriggi ad ascoltare col grammofono Mozart e Bach. Lui diceva: “Così tutte le preoccupazioni e i disagi quotidiani diventano meschini e futili” e lei gli replicava:  “io ascolto la musica e vedo uomini passati e futuri, vedo saggi e poeti, scienziati e artisti…”  L’affinità elettiva  è armonia di suoni e non è un caso che le illustrazioni di Weiss abbiano dato colore alla sua fiaba “Infanzia del Mago” e ad altri racconti.

Ma ora, poco più avanti lei si ferma a leggere all’ombra dei castagni, con il nipote diciassettenne che viene a trovarla da Zurigo; gli chiede quello che pensa del mondo e della vita; lui si meraviglia che suo nonno mostri interesse per quello che dice un ragazzo. Così salta contento, quando ritorna solo verso la riva del lago.

Nel ricordo degli ultimi giorni con suo padre c’era invece un senso di colpa, come “un’ondata nera di melma”: quell’ultima cartolina che forse aveva avuto il tempo di leggere, poche righe indifferenti e frettolose, con la scusa del poco tempo per scrivere. Più tardi avrebbe baciato piangendo le sue mani fredde  e si sarebbe reso conto di quanto è miserabile il nostro errare vagabondo per strade polverose, senza il tempo di respirare l’amore vicino: “Tienimi per mano al tramonto, quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…

Oggi la Casa Rossa appartiene a un privato che l’ha tinteggiata di bianco. Si intravede appena, dietro al cancello di metallo grigio  e il cartello “proprietà privata, accesso proibito” e più perentorio dell’invito che lei rivolgeva ai curiosi “nessuna visita, per cortesia”.

Fortunatamente il ricorso della Società Ticinese per l’arte e la natura contro il progetto edilizio a Montagnola è stato accolto dal Tribunale. Non ci saranno villette a schiera ad affondare le radici di cemento  sui suoi  orti e i giardini di Ninon. Sembra accogliere consensi l’idea di un “Parco letterario Hermann Hesse patrimonio dell’Umanità’; dovremmo farlo per dare a tutti il tempo di ascoltare ciò che ancora dicono questi luoghi, attraverso le sue pagine e i quadri. Questo incanto verde dei prati, gli alberi nei boschi e l’acqua dei ruscelli e dei laghi devono restare aperti allo sguardo e ai passi lenti dei viandanti e agli occhi che si aprono ancora alla meraviglia.

Ancora di più: la sua Casa Rossa deve resistere all’avanzare dei recinti e dei muri che si alzano sulle frontiere, Deve essere ancora rifugio, come lo è stata negli anni strappati di carne sui fili spinati. Che la sua vista in cima alla collina riesca sempre a orientare le nostre menti e i cuori, anche se su percorsi con ritmi e passi diversi. Qui  in questa terra di mezzo, in equilibrio tra le nevi più alte e le acque azzurre più a sud,  che ha sempre saputo coltivare l’accoglienza e la solidarietà.

Il filo si è spezzato e l’uccello è volato via

Ora un po’ mi accorgo di vederla ancora passeggiare non solo tra i boschi di castagni e tra i paesi di queste colline. Lei si muove anche in questi  giorni, come nei tempi presenti e passati che si alternano in queste righe per rincorrerla tra i sentieri e ascoltarla ancora. Le sue parole e i ritratti non sono frammenti chiusi nei libri e nelle stanze del Museo, sono tracce sparse dappertutto. E non è solo un tutto dei luoghi e delle forme negli acquerelli, che diluiscono i colori di uno spazio solo, ritratto da prospettive diverse. Siamo anche in un tempo unico, che unisce ciò che è stato a quello che sarà, con i giorni presenti in cui può esserci dato di averne coscienza. Per non sentire il dolore della perdita e avvertire il presagio dell’epifania. Per accorgerci di vivere il cambiamento e averne cura, rispetto delle forme che la vita assume e trattenere memoria di quello che non sarà più.

C’è una pietra nel cimitero di Sant’Abbondio, in quel posticino che lei aveva comprato quando si sentiva vecchio e fragile. Doveva stare qui, perché doveva molto a questo paese e al suo paesaggio. Ritornare nella sua casa, dopo averla abbandonata. Dentro questa terra, come un seme da coltivare, un fiore da crescere, un albero solitario come un santuario.

Nel 1946 le assegnano il premio Nobel per la letteratura, con la motivazione di premio dato a “un uomo buono, che ha lottato, che segue con una fedeltà esemplare la sua vocazione e che è riuscito a tenere alta la bandiera dell’umanità in un’epoca tragica“.  Io nasco dieci anni dopo, di anni facili e di ricostruzione, ma prima di conoscerla e  leggere Siddharta ne perdo altri venti. Com’è che non ci accorgiamo della bellezza e i nostri occhi tardano così tanto ad aprirsi e a vedere intorno.

Lei racconta di una vicenda, non so quanto vera, ma sicuramente magica. Di essere stato in carcere, accusato di  aver sedotto con arti e filtri una ragazza, quando aveva oltre settant’anni,  Gli amici le avevano portato colori e pennelli e lei aveva dipinto sul muro della cella tutto quello che le aveva dato gioia nella vita, “fiumi e monti, mare e nuvole, contadini alla mietitura”, Ma nel mezzo di quel paesaggio “passava un minuscolo treno, che si spingeva su per un monte, con la testa c’era già dentro come un verme nella mela…”. Quel carcere era un inferno per le accuse e gli interrogatori continui che la sfinivano. Così un giorno, alle guardie che pressavano con altri ordini, chiese il tempo di salire sul treno del suo quadro. Mentre quelli ridevano credendola pazzo, lei si fece piccino, salì sul treno e svanì per sempre nel tunnel.

Il 9 agosto del 1962 Hermann Hesse “volge gli occhi chiari e azzurri e la testa verso la luce”

Il museo Hermann Hesse

Si arriva da Milano in poco più di un’ora di auto, ma ci sono anche treni per Lugano. Dalla stazione l’autobus diretto ad Agra si ferma a Montagnola, dopo soli 15 minuti. Casa Camuzzi, sede del Museo è un po’ nascosta, ma comunque segnalata a pochi metri dal parcheggio in piazza. Di fronte all’ingresso del Museo, una graziosa seduta con alcune riviste e acquerelli, la gigantografia di Hermann Hesse sul muro e il sorriso delle guide pronte ad accompagnarvi nella visita delle sale interne e nelle passeggiate nei luoghi frequentati dallo scrittore.

Il museo è stato allestito nel 1997 nelle sale della Torre Camuzzi, su tre piani di esposizione e una sala per le proiezioni. In questa viene proiettato  un documenatario sugli anni di Hermann Hesse nel Canton Ticino. Vasto il programma degli eventi: mostre temporanee, conferenze, concerti, filmati, passeggiate e letture settimanali in lingua italiana e tedesca.

Il Comune di Montagnola ha allestito una passeggiata, con undici postazioni, che conduce il visitatore, attraverso le case dove visse Hesse, ai suoi luoghi preferiti e più significativi e al cimitero dove è stato sepolto. Possibilità di prenotare audioguida

Il Museo Hermann Hesse è gestito dalla Fondazione Hermann Hesse Montagnola, la quale è responsabile anche dei progetti nel resto della Svizzera e all’estero. I contributi annuali dei membri sostenitori permettono la realizzazione di un interessante programma di attività.

Info: hessemontagnola.ch

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