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Arcobaleno visto attraverso una delle stanze dell’accampamento abusivo Dom Penzjonera, ex ospizio situato a Bihać. Bihać, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021 © Matteo Placucci

CROSSING THE BALKANS

Foto di Matteo Palcucci. Testo di Matteo Palcucci e Loredana De Pace

CROSSING THE BALKANS, LA MOSTRA

Guardando questa esposizione anche tutti voi visitatori sarete immediatamente catapultati nei contesti geografici e umani che Matteo Placucci racconta nel testo che leggerete più avanti sulle dinamiche sociali e geografiche che sottendono al progetto Crossing the BalkansLa rassegna di umanità raccolta dall’autore in queste fotografie riguarda volti provati ma decisi, situazioni che rasentano l’assurdo e l’inumano, ambienti diroccati, simboli necessari – dall’onnipresente cellulare con le mappe del tragitto alle schede telefoniche, passando per il cannocchiale per vedere la frontiera, le tende e le file per ricevere supporto – i segnali di passaggio, di permanenza, di speranza, di coriacea volontà, di sopravvivenza, sopportazione, capacità di adattamento. E poi c’è il confine, quello stesso di cui parla il professore iraniano di Antropologia, Shahram Khosravi (migrante illegale nel 1988) nel suo libro Io sono confine che Matteo citerà all’inizio del suo contributo testuale. Tale confine si costruisce non solo visivamente, ma anche attraverso una mappatura delle esistenze di questi uomini che cercano instancabilmente di superare quel limite per raggiungere l’agognato sogno di una vita migliore. Nelle fotografie di Matteo Placucci che fra poco vedrete, vi invito come sua curatrice, a guardare i diversi livelli di lettura dei singoli scatti: anzitutto la storia umana, ovviamente. Ma questa non sarebbe così tangibile nelle scene inquadrate senza l’apporto sostanziale della luce (altro livello di lettura su cui vi suggerisco di porre attenzione), che riveste le situazioni più disparate su cui l’autore si sofferma: i profili dei volti, degli oggetti, gli interni illuminati – necessariamente – dalla luce naturale o riscaldati da qualche fuocherello acceso per cucinare.

Un migrante aiuta un coinquilino a farsi la barba, all’interno dell’accampamento abusivo Dom Penzjonera, ex ospizio situato a Bihać. Bihać, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021 © Matteo Placucci
Un gruppo di migranti si confronta in merito al futuro, all’interno dell’accampamento abusivo Dom Penzjonera, ex ospizio situato a Bihać. Bihać, Bosnia-Herzegovina, febbraio 2021 © Matteo Placucci

Come noi guardiamo loro, lungo il percorso, i protagonisti delle immagini dovevano guardarsi; per questa ragione l’editing è stato concepito appositamente a tale scopo, come percorso non tanto (o solo) espositivo, quanto di interrelazione umana, che permettesse di avviare un circolo virtuoso di sinergie fra le singole storie e tutti noi.
Questo reportage è schietto, immersivo, poliedrico perché parla con una narrazione precisa che passa dal linguaggio del ritratto a quello del paesaggio, non dimentica i dettagli, i contesti interni e quelli in esterna che completano la documentazione logistica.
C’è uno scatto che più di tutti racconta ogni passo compiuto, ogni tentativo fallito: è il ritratto di un giovane uomo che ci guarda dal centro del fotogramma, avvolto dal suo telo di plastica verde, circondato dai fiocchi di neve che oscilla nell’aria cadendo dal cielo e dal candore di quella già posata che rende tutto bianco intorno a lui. Lo sguardo è incerto, stanco ma non perde di vista il suo obiettivo. Che non siamo noi, in fin dei conti, ma il suo futuro: è a lui che si rivolge interdetto e speranzoso, cercandolo con ogni forza e provando a migliorarlo… Crossing the Balkans.

Loredana de Pace
giornalista – curatrice indipendente.

 

Mostra: Colorno Photo Life, curata da Loredana De Pace.

Migrante pachistano ritratto durante la distribuzione giornaliera di cibo, all’interno del Centro di Ricezione Temporanea di Lipa. Lipa, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021 © Matteo Placucci

Attraverso i Balcani

“Nessuno può chiudere la porta del mondo. Le migrazioni sono come un fiume: se lo blocchi da qualche parte, l’acqua troverà un’altra strada”.
Io sono confine di Shahram Khosravi

L’Unione Europea è la meta per tutti i migranti provenienti dalla rotta balcanica. Dall’esplosione di tale fenomeno migratorio, avvenuta nel 2015, su questa difficile tratta che porta i migranti in Europa via terra, sono passate centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini. Afghani, pakistani, iraniani ora, ma anche siriani, iracheni e nordafricani in passato, hanno lasciato i loro territori d’origine a causa delle difficili condizioni economiche, dei conflitti politici, etnici e religiosi, spesso a causa della mancanza di un futuro per le proprie famiglie e della carenza di lavoro.

Più della metà di questi migranti sono uomini single di età che varia dai 15 ai 30 anni. Sono in viaggio da anni (alcuni anche da sei), le loro famiglie hanno investito migliaia di euro in questa traversata che li ha portati a oltrepassare illegalmente i confini degli stati che hanno incontrato; hanno attraversato tutta la Bosnia-Erzegovina e infine si sono stabiliti a Nord Ovest, nel Cantone dell’Una-Sana, il luogo più vicino al confine con la Croazia. Qui sono concentrati 5 campi* per richiedenti asilo, ma sin dalla loro apertura, la loro capacità di accoglienza è risultata insufficiente.  

Il 23 dicembre 2020, con l’incendio di uno di questi campi, il centro di ricezione temporaneo per uomini single di Lipa, si sono riaccesi i riflettori su questa area della rotta balcanica. In concomitanza con l’allontanamento volontario dell’IOM – Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – a causa della mancata adempienza da parte del Governo bosniaco degli accordi che prevedevano gli allacciamenti di acqua corrente, elettricità e fognature, è divampato un incendio che ha distrutto parte del campo e ha reso inutilizzabile tutto il resto. Degli oltre 2400 presenti nel campo, circa 1500 migranti hanno lasciato l’area e hanno cercato riparo nella più vicina città di Bihać, distante 30km. Per i circa 900 che hanno deciso di rimanere, il Governo bosniaco, che attualmente gestisce il campo, nelle settimane successive ha lentamente installato delle tende militari per dare riparo dalla neve e dal freddo durante la stagione invernale. Il campo rimane un luogo ostile, senza acqua corrente, situato in mezzo a una vallata fredda e ventosa, lontano da ogni tipo di centro abitato.

A causa di queste condizioni, molti dei migranti scelgono di vivere in edifici abbandonati o di costruire ripari di fortuna in mezzo ai boschi. Nonostante la mancanza di acqua corrente e di energia elettrica, in questi luoghi la vita va avanti giorno dopo giorno e, con l’aiuto delle tante organizzazioni che distribuiscono cibo, vestiti e all’occorrenza medicine, i migranti si sono organizzati per cucinare, fare il pane, provvedere alla loro igiene personale, fare il bucato e riscaldarsi. La religione spesso aiuta tutti loro a rimanere mentalmente stabili: per la maggior parte mussulmani e in piccola parte cattolici, pregano quotidianamente dove possono e visitano chiese e mosche per trovare conforto dopo l’ennesimo respingimento forzato, oppure per farsi forza prima del tentativo successivo di superare il valico di frontiera.

Sparsi fra le montagne al confine con la Croazia oppure in centro città come il Dom Penzjonera o il Krajina-Metal, questi edifici abbandonati danno riparo a centinaia di migranti che aspettano che passi la stagione invernale per poter ripartire e proseguire il viaggio, il cosiddetto “game”.

Così viene chiamato fra i migranti quel percorso che varia dalle due alle tre settimane e che li conduce attraverso Croazia, Slovenia e infine Italia, ultimo ipotetico baluardo prima di raggiungere le destinazioni finali. Carichi di cibo, abbigliamento e sacchi a pelo, i migranti si incamminano fra la fitta boscaglia facendosi guidare dalle mappe scaricate sui telefoni cellulari. Percorrono decine di chilometri tutti i giorni in mezzo alla neve e dormono al freddo gelido senza la possibilità di accendere nemmeno il fuoco per paura di essere scoperti dalle autorità di frontiera che pattugliano le aree di confine con droni, telecamere termiche e cani.
A causa del freddo, degli incidenti di percorso e delle violenze subite, alcuni non riescono nel loro intento e, purtroppo, perdono la vita. L’alternativa a questo percorso è nascondersi sotto i camion che portano la merce in Europa ma, anche in questo caso, il pericolo di essere scoperti con gli scanner ai posti di controllo è alto, e il rischio di incidenti di percorso è concreto.Ognuno di loro ha tentato almeno due volte questi vie di fuga, alcuni addirittura anche decine di volte, e il fatto che siano rappresentati in queste immagini significa che puntualmente sono stati scoperti e rimandati in Bosnia-Erzegovina forzatamente, subendo furti di tutti i propri averi, abusi fisici e psicologici e, soprattutto, patendo il mancato rispetto dei loro diritti di richiedenti asilo.

Ciascuno di loro, per diversi motivi, vuole arrivare in uno degli Stati dell’Unione Europea: c’è chi vuole raggiungere parenti o familiari, chi ha amici che già legalmente o illegalmente lavorano e chi ne ha solo sentito parlare e ha investito tutto il proprio denaro e le speranze in questa difficile avventura che porta a rimanere in viaggio per anni, facendo anche lunghe soste in Paesi come Turchia e Grecia per lavorare e mettere da parte la cifra necessaria che permetterà loro di pagare lo “smuggler”, ossia il contrabbandiere che li condurrà dall’altra parte del confine.
Nessuno si scoraggia al punto da interrompere il viaggio perché ciascuno di loro è focalizzato su un preciso obiettivo: raggiungere la destinazione finale per avere un futuro migliore, lavorare e poi tornare a far visita a chi è rimasto nel Paese d’origine.

Matteo Placucci
Bosnia-Erzegovina, Gennaio 2021
matteoplacucci.com

*I dati numerici si riferiscono alla finestra di tempo nella quale è stato eseguito il reportage. Ad oggi possono aver subito dei cambiamenti.

Un cane randagio si aggira nei pressi del Centro di Ricezione Temporanea di Lipa. Lipa, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021 © Matteo Placucci
Migranti in coda durante la distribuzione giornaliera di cibo, all’interno del Centro di Ricezione Temporanea di Lipa. Lipa, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021 © Matteo Placucci
Malyar Shakardara, 21 anni, afgano, mostra quello che ha all’interno delle tasche, all’interno della casa occupata abusivamente nei pressi di Cazin. Cazin, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021
Migranti ritratti mentre svolgono azioni quotidiane come bollire l’acqua, all’interno dell’accampamento abusivo Dom Penzjonera, ex ospizio situato a Bihać. Bihać, Bosnia-Herzegovina, febbraio 2021 © Ma
Binocolo appartenente a Mohammed Riza Alizada, 34 anni, iraniano, ritratto all’interno dell’accampamento abusivo situato nell’ex fabbrica Krajina-Metal. Bihać, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021 © Matteo Placucci

Cliccare sulle immagini per ingrandirle

Sheiku, migrante afgano con conclamati problemi mentali, ritratto nei pressi del Centro di Ricezione Temporanea di Ušivak. Sarajevo, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021
Vista dell’accampamento abusivo Dom Penzjonera, ex ospizio situato nei pressi del fiume Una in centro città a Bihać. Bihać, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021. ©Matteo Placucci

BIOGRAFIA MATTEO PLACUCCI

Il fotoreporter italiano Matteo Placucci, classe 1983, è nato a Cesena (FC). La sua esperienza nel mondo della fotografia comincia nel 2017. Durante un lungo viaggio di due anni nell’Africa subsahariana sente forte l’esigenza di raccontare ciò che lo circonda e le storie delle persone che via, via condividono con lui una parte della loro vita.

Empatia, sensibilità e capacità di ascolto sono le pietre miliari di una fotografia che inevitabilmente si sviluppa di giorno in giorno nel suo modus operandi, e che ha potuto svilupparsi ancor più durante gli studi di fotogiornalismo, che Matteo ha svolto a Roma, presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata (ISFCI).

Problematiche sociali, eventi politici e religiosi, conflitti ambientali e questioni legate al cambiamento climatico: questi sono gli argomenti principali che Matteo Placucci affianca al filo conduttore di gran parte dei suoi progetti, ossia la salute mentale e la sfera emotiva dei protagonisti delle storie che racconta. “Decidere di diventare fotografo senza aver compiuto un vero e proprio percorso accademico non è stato facile, ma questa scelta è stata dettata dalla forte necessità di documentare e testimoniare”, sottolinea l’autore. Nel 2017, scegliendo questa professione, ha deciso di diventare parte attiva in questa testimonianza.

Matteo Placucci è seguito dalla curatrice Loredana De Pace ed è rappresentato dall’agenzia francese Hans-Lucas.

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Giovani migranti ritratti mentre rientrano al Centro di Ricezione Temporanea di Ušivak. Sarajevo, Bosnia-Herzegovina, febbraio 2021. © Matteo Placucci
Vista del soffitto del Pršine Uvale, rifugio montano al confine con la Croazia, occupato dai migranti e andato a fuoco nel novembre 2019 per incuria degli stessi. Bihać, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021 ©Matteo Placucci /Hans Lucas
Attraverso una tenda appesa all’interno del accampamento abusivo Dom Penzjonera, si intravede la città di Bihać ed il fiume Una. Bihać, Bosnia-Herzegovina, gennaio 2021. ©Matteo Placucci.
Migrante pachistano ritratto mentre guarda il fiume Una dal tetto dell’accampamento abusivo Dom Penzjonera, ex ospizio situato a Bihać. Bihać, Bosnia-Herzegovina, febbraio 2021.©Matteo Placucci

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