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Canavese: profumo di Eporedia

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Canavese: profumo di Eporedia

di Raffaele Alessi

Ivrea, la città romana di Eporedia, è come la Saliunca una pianta erbacea, di basso fusto, dall’infiorescenza poco appariscente, ma dal profumo intenso. Per i romani quell’aroma, di cui odoravano le loro vesti, “valeva come una miniera” e aveva un alto valore commerciale. Così il destino imprenditoriale di questa città si appoggia sulla schiena robusta della morena formatasi nel periodo quaternario con il ritiro del ghiacciaio che occupava la valle della Dora Baltea al suo sbocco nella pianura canavesana. Siamo nel Canavese, di fronte a uno scenario naturale incredibile: una delle formazioni geologiche di origine glaciale di più grande estensione, effetto della discesa dalla Valle D’Aosta del ghiacciaio Balteo, un fiume di ghiaccio di 100 km di lunghezza e 800 metri di altezza, i cui detriti oggi si estendono per circa 25 km e formano la più lunga e dritta collina del mondo.

“Ivrea la bella che le rossi torri/ specchia sognando a la cerulea Dora
nel largo seno, fósca intorno è l’ombra/ di re Arduino”
(dal poema “Piemonte”, di Giosuè Carducci)

Sono i castelli a caratterizzare il territorio; oggi adibiti in parte a musei o strutture ricettive, si dispongono lungo tutti i punti nodali della valle, per difesa ed avvistamento. Ora i tempi sono di pace, almeno su queste terre e camminiamo come pellegrini “con i piedi per terra, per muoverci con il cuore verso il cielo”. I sentieri della Francigena raggiungono siti di grande rilevanza religiosa e artistica, come il “Gesiun” che in dialetto canavesano significa “chiesone”, un edificio di architettura romanica situato sulla Via Francigena di Sigerico.

Castello di Masino

Impresa e territorio

Che vale riscostruire città di marmo, se il cuore della città è rimasto senz’anima, se in esso l’uomo, nelle sue aspirazioni più alte e profonde, si trova perduto? Olivetti, 2018

Olivetti e Ivrea hanno rappresentato un modello di sviluppo fondato sulla collaborazione tra impresa e comunità operaia. Lo stile di Andrea Olivetti ha sempre posto l’uomo al centro; non solo il profitto, ma anche la sua felicità. Stare bene per valorizzare competenze e senso di appartenenza.. Il riconoscimento del capitale umano coniugava visione innovativa e partecipazione comunitaria. Quei valori sono stati riportati e documentati nel progetto “Ivrea, Città industriale del XX secolo” e riconosciuti dall’Unesco  come Patrimonio dell’umanità.

Negli edifici del MaAM (Museo all’aperto delle architetture moderne olivettiane) si ripercorrono tutte le stazioni informative per ricostruire l’ambito della produzione e della ricerca,e le esperienze originali nel campo dell’architettura, del disegno industriale e della grafica pubblicitaria.

Come segno tangibile della stretta relazione tra Impresa e Arte, qui nel Canavese si può visitare il complesso quattrocentesco di San Bernardino, accompagnati dalle “Spille d’Oro Olivetti”, i dipendenti e i pensionati del Gruppo Olivetti che hanno compiuto 25 anni di lavoro presso l’azienda e insigniti di una spilla d’oro in ricordo del dono che il fondatore Camillo Olivetti fece alla moglie all’uscita del millesimo esemplare della prima macchina per scrivere. 

Questo straordinario incontro tra Impresa e Cultura può essere riscoperto anche visitando l’Archivio Storico del Cinema d’Impresa, che ha sede nell’ex asilo Olivetti, quasi a raccogliere l’eredità di quelle energie giovani che sono i presupposti del lavoro per il futuro, con un laboratorio attrezzato che ha ridato luce a migliaia di documenti filmati di importanti aziende nazionali. Un patrimonio d’immagini che fa parte della Cineteca Nazionale e che consente di ripercorrere l’evoluzione della produzione industriale, dei rapporti sociali, dell’economia e del lavoro in Italia.

Nel Museo Garda, nell’ampia piazza porticata al centro della città, oltre alle collezioni permanenti di archeologia e arte orientale, in questi giorni è allestita la mostra temporanea “Olivetti e l’arte. Jean-Michel Folon”, che ripercorre lo straordinario percorso artistico di Folon e il suo rapporto con Olivetti.

Il castello di Masino e la grande Allea

Sulle colline intorno a Ivrea, anima del Canavese, domina il castello di Masino, oggi patrimonio FAI, con i suoi 1000 anni di storia e le spoglie di Aduino, primo re d’Italia. Castello di difesa e di residenza del nobile casato dei Valperga, diplomatici ed intellettuali, che ospitarono i protagonisti della “repubblica delle lettere”, come testimonia la “Galleria dei Poeti”. La biblioteca cui si accede alla sommità dello scalone, conserva più di 25mila volumi antichi. Tra questi, tre edizioni dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alebert e Les ruines de Palmyre di Robert Wood, quel sito archeologico che ha subito gravissimi danni durante la guerra recente in Siria. Sotto il sole primaverile sono evidenti i tralci dell’antico vigneto anch’esso recuperato dal FAI e che favorirà una valorizzazione sia dell’economia viti-vinicola del territorio sia dei percorsi turistici del Canavese. Il cortile  guarda verso la Serra di Ivrea che si allunga sopra il borgo di Masino. Prima di perdermi nel labirinto semicircolare, mi piace passeggiare nella grande Allea, il lungo il viale con il doppio filare di tigli, dove ancora risuonano il calpestio delle carrozze che arrivavano al castello.

Terra di Erbaluce

Un tempo, su queste dolci colline vivevano ninfe e tra loro Albaluce, la più bella. Raccontano che fosse nata in una notte d’eclissi di Luna e che gli uomini, bramosi della sua bellezza, facessero di tutto per scoprirne il rifugio segreto. Tagliarono alberi, bruciarono boschi, prosciugarono persino i laghi. La mutilazione di quei luoghi amati produssero dolore in lei e lacrime. Sulla terra arsa del Canavese il loro effetto fu come di gemme lucenti; per ogni lacrima stillata nacquero tralci di viti e un’uva bianca dal nome Erbaluce. 

Il Canavese non gode delle stesse attenzioni di altri territori piemontesi come le Langhe e il Monferrato, ma ha saputo coltivare vitigni autoctoni, come questa erbaluce per i vini bianchi e il neretto insieme alle uve nebbiolo per i rossi. 

Questa terra è genuina nei sapori, nei prodotti del territorio e nella cucina casalinga, di verdure cresciute nell’orto, di piante spontanee che l’Associazione Ristoratori della Tradizione Canavesana si propone di valorizzare, anche con la ricerca di ricette scomparse o cadute in disuso. Come la Tofeja, il piatto tipico di origine contadina a base di fagioli e cotiche di maiale e che da il nome anche al recipiente in terracotta di Castellamonte dalla forma panciuta.

Questa terra è ricca di profumi e fragranze, come i vapori di grappa che si raffreddano nell’alambicco della distilleria Revel Chion che lavora le vinacce da oltre sette generazioni, con la cura per i suoi vitigni autoctoni e la ricerca della qualità., Ci sono le creme segrete nella torta 900 che la Pasticceria Balla non ha svelato nemmeno a noi. C’è il profumo del panettone in vasocottura e il sapore dolce delle praline colorate che Alessandro Gaido disegna una ad una. 

Questa terra è viva e tra le fenditure delle rocce della grande Serra d’Ivrea, si avverte come il soffio di un gigante addormentato. Sono i Balmetti”,grotte naturali che mantengono umidità e temperature costanti, in ogni periodo dell’anno e consentono la conservazione del vino, dei formaggi e dei salumi. 

Così quest’anno anche noi “Andoma ai Balmit”, per stare insieme e bere un buon vino canavesano. Arvëddse en Canavèis!

Info utili

Agenzia per lo Sviluppo del CanaveseSpazioBianco – Camere con cultura | Ristorante del MonteTaverna Verde

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